Editoriale – La storia italiana chiama di nuovo i cattolici

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di Sergio Bindi

Roma, 28 ottobre – Sempre peggio. Sì, lo spettacolo offerto dall’attuale politica è, ad un tempo, desolante e preoccupante, Desolante per la guerra di “tutti contro tutti”, per un PD e un Pdl, privi di radici,colpiti da implosioni , da lotte interne; per il tentativo di costituire un centro solo per meri motivi di potere, non per una stessa idealità, ma cosa ci può essere in comune tra gli ex-dc di Casini e gli ex-estremisti di destra di Fini, un Fini oltretutto improvvisatosi laicista?
Preoccupante perché il Paese appare allo sbando, senza più punti di riferimento, con una situazione sociale al limite della sopportazione  e con una classe dirigente che si delegittima a vicenda e ignora l’assalto che viene portato all’Unione Europea e alla sua moneta per disgregarle, per far ancora trionfare, con il suo  fardello di crisi, l’economia finanziaria su quella reale.
Si sta, infatti, svolgendo, a livello globale, una partita senza esclusione di colpi per ribadire che è il dollaro la moneta di riferimento. La Cina, che ha in cassa molto del debito pubblico americano, potrebbe anche essere interessata, ma pone condizioni troppo pesanti per essere accettate e, quindi, sta a guardare. Noi europei ci beiamo dell’euro forte, ma dimentichiamo che è solo un cambio che, poi, viene smentito dalla realtà perché quando acquistiamo merce dalle molte aree extraeuropee ci sobbarchiamo anche il costo del trasporto. Un trasporto sul quale incide il prezzo del petrolio che si fa in dollari e se aumenta il costo di questa fondamentale materia prima ecco che, di fatto, il nostro cambio va a farsi benedire e, in realtà, paghiamo molto più il dollaro di quel che appare dai bollettini-cambio delle banche. Ai petrolieri texani, infatti, basta alzare i prezzi del greggio per tutelare al meglio gli interessi americani. Ho voluto fare solo un esempio significativo, ma  ci sono anche altre vie, altri sistemi per danneggiare  un’Europa sempre più divisa e con l’illusione della Germania di vincerla da sola la battaglia delle monete.
I nostri politici sono, però, fuori  da queste problematiche, solo il ministro Tremonti ne mastica e, non a caso, dalla riunione dei ministri finanziari a Washington ha denunciato il gioco sporco delle banche non italiane e, poi, ha tenuto duro sui conti anche dinnanzi alle proteste dei suoi ministri, proprio per reggere meglio la nuova tempesta finanziaria che si profila all’orizzonte. E, probabilmente, negli States avrà  anche appreso la buona notizia che  gli americani non intenderebbero infierire sul nostro Paese ritenuto indispensabile nel bacino mediterraneo. Il guaio è che l’attuale politica italiana non sembra rendersene conto e va allegramente incontro al suo naufragio.
Non a caso sia da Papa Ratzinger, sia dal presidente dei vescovi, cardinal Bagnasco, arrivano di continuo messaggi  su  come superare l’attuale fase. Il silenzio della classe dirigente, in proposito, appare, però, assordante. Da qui l’appello di Benedetto XVI°  affinché ” sorga una nuova generazione di cattolici, persone interiormente rinnovate che si impegnino nell’attività politica senza complessi di inferiorità”. Persone, “aliene dall’egoismo, dalla cupidigia dei beni e dalla bramosia di carriera e, invece, coerenti con la fede professata….capaci di assumere responsabilità pubbliche con competenza professionale e spirito di servizio”.
E’ sui valori irrinunciabili che – spiega il cardinal Bagnasco –  si può realizzare l’unità politica dei cattolici” perché “ su questa linea  si gioca il confine dell’umano”, ossia  sulla “difesa della vita dal concepimento alla morte naturale”, sulla “famiglia come cellula fondamentale e ineguagliabile della società, formata da uomo e donna e fondata sul matrimonio” e sulla “libertà religiosa ed educativa” ed ogni altro valore, “necessario per il bene della persona e della società- come il lavoro, la casa, la salute, l’inclusione sociale,la sicurezza, le diverse provvidenze, la pace e l’ ambiente – germoglia e prende linfa da questi”.
Dunque, non un partito di cattolici, l’esperienza della DC è irrepetibile, ma cattolici che, in Parlamento, si ritrovano nella difesa dei valori. Rare volte ciò è avvenuto ed è evidente che per Papa Ratzinger  sia indispensabile un cambiamento  grazie ad “una nuova generazione di cattolici” impegnata in politica. Ammette il Pontefice che “tale presenza non si improvvisa” e rimane “un obiettivo a cui deve tendere di formazione intellettuale e morale”. Eventi come la Settimana Sociale dei Cattolici apertasi a Reggio Calabria servono anche a questo. E per fortuna, sul territorio, esiste  già   parte di quella classe dirigente indicata dalla Chiesa. Ci sono, localmente, “eccellenze” dimenticate, spesso volutamente, dalla politica, stanno emergendo giovani  di grande livello. Da qui si può partire per una nuova stagione politica che si basi sul cambiamento positivo, sulla discontinuità con un passato legato a vecchi superati schemi  e sul rispetto di valori che, indicati dalla Gerarchia, sono però profondamente laici. E gli unici che possano garantire uno sviluppo integrale dell’uomo. Come già nell’immediato dopoguerra i cattolici seppero essere tra i promotori della ricostruzione d’Italia,  possono e debbono essere, quindi, oggi i protagonisti di un suo nuovo rinascimento. Sì, perché la storia ci chiama all’appello, di nuovo, proprio i cattolici italiani.

 

Editoriale – Dalle macerie politiche a un nuovo rinascimento

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di Sergio Bindi
Roma, 26 ottobre – E’ sulla giustizia che Gianfranco Fini vorrebbe la crisi  di governo, aprendo la strada a un esecutivo tecnico, sul quale, tuttavia, pesa l’incognita del Senato.
Se, poi, si andasse alle elezioni anticipate, la rottura  con Silvio Berlusconi avverrebbe sul tema della legalità, della “legge uguale per tutti”, ossia su un terreno che porta voti al Fli, secondo il P residente della Camera.
Ho l’impressione che, questa volta, Fini abbia sbagliato i conti. Sì, perché il Cavaliere ha visto la trappola, così ha fatto fare marcia indietro al ministro Alfano anche sul Lodo costituzionale, niente reiterazione, tutti i bellicosi propositi nei confronti dei figiani messi in un cassetto, la situazione consiglia prudenza, come gli suggeriscono dall’esterno.
Certo, evitata la trappola sulla giustizia e sulle leggi ad personam, dinanzi a quello che il premier ritiene una persecuzione dei Pm, rimane la spada di Damocle  sul governo da parte di Fini. Anche lui, però, è chiamato a più miti consigli, forse sapendo che, probabilmente, il premier potrebbe uscire dalla vita politica in cambio della fine della “persecuzione”, Voglio dire, non sarebbe, come sostengono alcuni sussurri Berlusconi a guidare, in futuro, il Pdl (chissà che fine farà senza di lui ) e a puntare al Quirinale.
 Ancora, per la verità, non c’è il successore, né si vede un possibile accreditato (anche all’estero) leader nello schieramento di centrosinistra. Il Cavaliere sembra abbia indicato, il ministro Angelino Alfano, il quale, però, non trova quel gradimento che aveva mettiamo un anno addietro o giù di lì.
Il fatto è che, per le forze, anche estere, che compongono il complesso quadro del nostro Paese, non esiste al momento un credibile riferimento politico  e un leader sui quali puntare per una ricostruzione dei nostri assets e una trasformazione del nostro sistema, partendo da quella discontinuità con il passato che appare indispensabile per l’innovazione e che gli attuali partiti ignorano.
Tutto questo complica ancor più una situazione di per  se stessa già caotica che, momentaneamente, gioca a favore del governo. Che deve, tuttavia, dimostrare  di  saper garantire condizioni tali da rendere possibili e remunerati gli investimenti, operando, nel contempo,  per aiutare le famiglie e, quindi, favorire la ripresa dei consumi. Sono operazioni non facili da attuarsi nell’attuale rissa politica con Pierluigi Bersani che invoca una Cln contro il Cavaliere, Cnl al quale si è  associato Pierferdinando Casini che dice a Pd e Fli: siamo pronti per un “governo dei responsabili”. Lo stesso Bersani deve fare i conti non solo con l’opposizione di Veltroni-Fioroni, ma anche con  la fronda del gruppo di giovani che, guidato dal sindaco Renzi, si riunirà a Firenze e vorrebbe  mandare a casa i leader del partito. Così si carica di antiberlusconismo per cercare di tenere uniti i suoi e lancia un nuovo anatema contro il Cavaliere (“evitiamo vada al Quirinale), riproponendo una specie di Unione che sostituisce i due partiti comunisti con Fini e Casini, il quale risponde picche: in caso di elezioni anticipate andremo da soli, pronto, però, a un esecutivo istituzionale, magari da lui presieduto.
Siamo, in sostanza, alla vecchia politica, quella rissosa e autorefenzionale  che è ormai al tramonto e non se ne rende conto.
In questo contesto diviene sempre più assordante il silenzio di Giulio Tremonti che si limita a temi economici, non entra in un dibattito che sa di stantio e di superato, mentre i veri problemi urgono e non si ha né la forza né il coraggio di affrontare l’indispensabile riforma di sistema. Il risultato è che la società civile si organizza in modo autonomo, sempre più distante da istituzioni logore e non più in grado di rispondere ai veri bisogni degli italiani, essendo mutato, e profondamente, lo stesso rapporto Stato-cittadini. Si assiste così a una progressiva privatizzazione del sociale che consente ai singoli e alla comunità naturali di rientrare in possesso delle scelte sulla qualità possibile della loro vita quotidiana senza essere vincolati a servizi pubblici  caratterizzati da un inaccettabile squilibrio tra imposizione fiscale, costi tariffari ed efficienza di quei servizi.
Si tratterà, dunque di ricostruire sulle macerie provocata dall’onda lunga della Prima Repubblica, la Seconda non essendo mai nata. Servirà una nuova classe dirigente, in parte da formare, in parte già esistente sul territorio con quelle “eccellenze” ignorate, volutamente, dai dirigenti locali degli attuali partiti. Una nuova classe dirigente che si colleghi con una parte dell’attuale sensibile al rinnovamento  sì da determinare un nuovo rinascimento nel nostro Paese. In questo un ruolo di primo piano potranno e dovranno svolgere i cattolici come ha ripetuto, anche d recente, Papa Ratzinger. Non sarà un compito facile,ma solo in una operante collaborazione tra cattolici e laici, tra gli eredi d Alcide De Gasperi e quelli di Adriano Olivetti, come indicato la Fondazione Comunità sarà possibile costruire il nuovo fondato su una discontinuità che costringa tutti a un reale rinascimento.
 

 

P.d.L. – UN PARTITO TUTTO DA FARE

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I vari movimenti autonomisti di contestazione verso il centro, che stanno nascendo nel P.d.L. (vedi Sicilia e Sardegna), poi, l’uscita di Fini dal PdL pone con urgenza il grande problema della vera costituzione del partito. Si deve parlare di fondazione del partito in quanto, prendendo atto della reale situazione, allo stato attuale, il PdL, più che un vero partito è un agglomerato di varie componenti, senza struttura, unito solo dal collante Berlusconi oltre che da un folto gruppo di cittadini moderati con  una gran voglia di antisinistra. Per il resto, nulla.

Rimproverare a Berlusconi questo stato, è ingeneroso. Le responsabilità sono molteplici e non facilmente attribuibili.

Andando alle origini, quando Berlusconi annunciò dal “predellino” l’intenzione di costituire il PdL e subito dopo invitò Fini ad unirsi nella costituzione della nuova entità politica, quello era il momento di mettere in chiaro le cose: Fini nell’accettare di partecipare all’impresa avrebbe dovuto porre come condizione la forma che avrebbe dovuto assumere il nuovo partito. Perché ci rifacciamo a Fini? Semplice. Perché la componente AN era un partito strutturato ed inserito nel territorio, pertanto,in quelle circostanze avrebbe potuto mettere a disposizione tutta l’esperienza, centrale e periferica, per dare vita ad una entità strutturata, tale da consentirne la formazione cioè non porsi solo come alleato ma anche come valore aggiunto nella costituzione del nuovo partito.

Cosa si può rimproverare a Fini? L’aver trascurato l’idea di grande partito per un incarico personale che è certamente di evidente prestigio senza tener conto e  lasciando i suoi iscritti in una condizione di inferiorità  nella necessità di trovarsi uno spazio vitale per sopravvivere. In quel momento, anziché concorrere per la Presidenza della Camera forte della sua esperienza, in quanto co-fondatore se avesse chiesto di essere lui il coordinatore del partito e lo avesse fatto con piena e sincera convinzione, senza mettere in discussione la leaderschip di Berlusconi, anzi assicurando che un partito vero strutturato avrebbe dato maggior risalto e forza alla figura del leader e quanto è avvenuto e sta avvenendo , molto probabilmente non sarebbe mai accaduto. D’altra parte non si può pretendere di andare avanti con tutta una serie di iniziative personali che altro non fanno che confondere le idee sia dei simpatizzanti che dell’elettorato. Il riferimento va diretto verso quelle iniziative più o meno spontanee, ai vari club, o altre iniziative analoghe. Come si può pretendere che queste possano essere accettate nelle varie regioni? La gente del meridione, ad esempio, ha bisogno del contatto personale, quello che è mancato in questi ultimi anni, in Sardegna, in Sicilia, in Campania, ecc., dove i luogotenenti avrebbero voluto sostituirsi al Capo senza averne ne il carisma e tanto meno le capacità. Ecco il perché di verificarsi condizioni di protesta che non sono, almeno in partenza, nei confronti del leader, al quale tutti riconoscono la posizione che gli compete e nessuno vorrebbe mai metterlo in discussione. Ecco perché ora è venuto il momento di costituire il vero partito.

Come dovrebbe essere questo partito? Innanzi tutto è necessario trovare la forma che la figura del Capo non sia messa in discussione, Il Capo, Berlusconi deve essere al di sopra di tutto e di tutti con pieni poteri. Perché la sua posizione sia indiscussa, sia la Direzione che il Consiglio Nazionale potrebbero essere composti per il 50%+1 dal Presidente ed il resto dalla base attraverso i vari gradi di congressi che va dai Circoli sino al Consiglio Nazionale. Semplificando: dalla base si arriva al vertice e non viceversa.

Il tesseramento non può essere fatto direttamente dalla Direzione Nazionale, bensì deve avvenire attraverso i circoli e, per il primo vero tesseramento si potrebbe fare attraverso la certificazione di un commissario che potrebbe farsi affiancare da almeno tre cittadini da lui conosciuti e, con loro, avrebbe solo il compito di accogliere e verificare le domande di iscrizione che dovrebbero, essere certificate da almeno due cittadini che hanno già espresso la volontà di iscrizione presso il commissario.

Una volta accettato e chiuso il tesseramento, il Circolo, convocato in Assemblea si costituisce e nomina i propri organi.

I Commissari dei Circoli saranno nominati dai commissari-coordinatori provinciali che, a loro volta saranno stati nominati dai commissari-coordinatori regionali i quali, a loro volta, saranno nominati dal Presidente Berlusconi tra i parlamentari e i consiglieri regionali locali.

Con un sistema di questo genere, i sei mesi potrebbe essere costituito il Partito e, forse, non ci sarebbero fughe in avanti così come si sta verificando. Gli iscritti avrebbero tutti pari dignità senza alcuna discriminazione tra ex forzisti ed ex aennini per essere solo del Popolo della Libertà. 

Matteo Sanna – “No Grazie”.

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Caro Matteo, mi dispiace ma non posso seguirti. Ti faccio i miei auguri….. Questa è la conclusione della telefonata intercorsa con L’On. Matteo Sanna avvenuta venerdì quindici ottobre. Una telefonata durata ben nove minuti.

Andiamo con ordine: Il 29 settembre ultimo scorso, avevo scritto un pezzo sul mio blog su un’intervista rilasciata dall’On. Matteo Sanna a La Nuova Sardegna. L’ho scritto in forma piuttosto critica più che altro per far capire a Matteo, del quale mi consideravo abbastanza amico, proprio per stimolarlo ad adottare comportamenti diversi per ottenere ciò che si proponeva. Per chi non ha letto l’intervista, il tono era perentorio verso il Presidente della Giunta della Regione Sardegna: ho mi dai un assessorato  o ti voto contro.

Cappellacci, nel rimpasto non ha tenuto conto della autocandidatura dell’On. Sanna, e qui il nostro Onorevole si è lasciato andare a nuove dichiarazioni sui giornali sardi che portavano ad un probabile smarcamento dal PdL. Anche in questa circostanza sul blog è apparsa una mia analisi sulla situazione Sanna-Gallura- Regione. Questa evidentemente non è piaciuta all’Onorevole, tanto che ha ritenuto opportuno inviarmi, il venerdì 15 alle 23,32, un sms che riporto appresso:

“Caro Beppe,, ho letto il tuo blog! Non mi meravigliano le tue analisi politiche dettate da rancori personali! Sappi che ti stupiremo! Non ho paura del confronto! Godo di molto consenso popolare! Stai sereno,, goditi la tua pensione! A presto. Matteo”

A stretto giro la mia risposta:

“Caro Matteo, vedi la mia pensione è frutto di lunghi anni di duro lavoro e quindi, goderla è una logica conseguenza. Non capisco a quali rancori io possa avere nei tuoi confronti, a me non è mai servito nulla che tu potessi darmi e che possa darmi, se mi diletto a fare qualche analisi puoi tranquillamente contestare quella magari adducendo che si tratta di elucubrazioni senili (tu spesso sostieni che la vecchiaia è oblio, lo hai sempre detto di Berlusconi). Non ho messo in dubbio i tuoi consensi, dovrai però ammettere che non potranno essere gli stessi  che hai raccolto nell’ultima tornata se tu continuerai sulla linea che hai intrapreso. Ad ogni modo, pur con qualche critica rimango un tuo estimatore, per quanto vale. Stammi bene ed auguri. PS. Scusami ma pubblicherò sul blog questo nostro scambio di sms.”

Poi, l’indomani mattina, la telefonata. Dopo aver chiarito che la mia pensione, meritata e pagata interamente in anni di duro lavoro, la godo anche dedicando un po di attenzione a ciò che mi accade attorno e, essendo io un iscritto al PdL, mi attrae molto ciò che accade nello stretto giro di quel mondo senza trascurare la terra in cui vivo e, fra questi vi è anche l’uomo pubblico Matteo Sanna. Poi, dopo aver chiarito sugli eventuali rancori cui aveva fatto cenno nel suo sms, rancori che non ho mai avuto motivo di nutrire ne nei suoi confronti e neppure verso suoi pseudo amici. Ho voluto dire a Matteo che le battaglie politiche si vincono e si perdono, da parte mia le ultime in cui risono trovato coinvolto le ho stravinte centrando in pieno i miei obiettivi pertanto rancori vecchi o nuovi non toccano minimamente la mia persona. Chiarito ciò che negli sms era rimasto poco chiaro, Matteo, sempre insistendo sulla mia serenità, mi magnifica la sua azione di passaggio al FLI assicurandomi la piena facoltà mentale di Fini il quale non fa nulla senza aver prima calcolato i rischi, per questo mi invitava a partecipare all’impresa, di qui la mia risposta: “No Grazie”.

giustus

MATTEO SANNA – Prove tecniche di emigrazione

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Come scrivevo nel mio blog il 29 settembre scorso sulla intervista rilasciata a La Nuova Sardegna da Matteo Sanna, quindi in tempi non sospetti, c’era allora una smarcata voglia di assessorato ma, ancora di più, Matteo stava facendo delle ‘prove tecniche di emigrazione’ dal Gruppo del PdL. Allora, scrivevo che per ottenere ciò cui aspirava, sarebbe stato opportuno un sostegno ampio che coinvolgesse non solo del PdL ma anche degli altri partiti galluresi. Questo avrebbe avuto un significato politico nei confronti della chiara centralità del capoluogo della regione nei confronti e a danno, principalmente della Gallura.

Quanto è poi successo ha confermato quanto io avessi ragione. Non avevo però calcolato che per una battaglia personale, nessuno era disposto a dare l’appoggio del suo partito. Ecco dove Matteo ha commesso l’errore.

Matteo Sanna, consapevole del suo isolamento avrebbe dovuto fare la battaglia senza scoprire le sue aspirazioni, avrebbe dovuto evitare che il Circolo di Arzachena, controllato da suoi amici fidati, facesse dichiarazioni di distacco dal PdL, seguito dal Circolo de La Maddalena, altri fidati del nostro amico. Le ultime dichiarazioni lo hanno messo totalmente allo scoperto provocando la reazione degli ‘amici’ che lo hanno ‘mollato’ senza nessuna esitazione.

Peccato, Matteo è un ragazzo che prometteva bene. Ora sarà difficile un suo recupero. Quando mai avrà ancora un successo elettorale come quello che aveva ottenuto nell’ultima tornata? Mantenere lo stesso elettorato che lo aveva visto al primo posto degli eletti in Gallura, sarà un’impresa difficilissima, anzi, oserei definire, impossibile e lo sarà ancor di più se Cappellacci riuscirà a tenere la Giunta sino alla prossima scadenza elettorale, cosa questa molto probabile.

La mia analisi potrebbe presentare qualche crepa se Matteo avesse già da tempo deciso di lasciare il PdL per aderire al gruppo di Fini. Allora tutto avrebbe un senso, quello di avere un pretesto per uscire sbattendo la porta, mettendo in testa la corona del martire. Ma, se così fosse, quali sarebbero i vantaggi? Credere che passando nelle file del FLI si possa recuperare quello che era Alleanza Nazionale è pia illusione. Il FLI non avrà mai i risultati ottenuti dal 1994 in poi da Fini: i moderati che avevano aderito ad AN sulla linea di Fiuggi non torneranno più indietro e certamente quei voti non potranno mai essere rimpiazzati da adesioni raccattate dall’ala sinistra della destra. I moderati che avevano aderito ad AN, forse, pur non condividendo tutto il Berlusconi, pur avendo molte perplessità sui più stretti consiglieri, non condivideranno mai l’ultimo Fini, quello dei Granata e dei Bocchino, dei Tulliani, quello che da due anni, con le sue uscite verso valori estranei alla destra alla quale avevano creduto, a quella destra moderata alla quale Fini dimostra di non credere più o di averci creduto solo per convenienza.

Ecco perché continuo a credere che Matteo Sanna abbia giocato male le sue carte: prima, quando si è buttato senza riserve, a capofitto verso la fondazione del PdL, ora quando cerca di uscirne solo perché non è stato accontentato (almeno così sembra).

Credo che il futuro, se dovesse continuare su quella linea, sarà duro. Comunque, il tempo è galantuomo e il futuro, che non è poi così lontano, non è nelle nostre mani. Mi auguro e gli auguro che la mia analisi sia sbagliata.

giustus

Editoriale – Elezioni sì o no? ogni giorno cambia il vento: ora è bonaccia

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di Sergio Bindi

Roma, 7 ottobre – Ora è tempo di bonaccia, i venti di guerra sembrano essersi un pò calmati, il guaio è che ogni giorno cambiano a seconda degli umori dei protagonisti della politica. Martedì il voto anticipate sembrava cosa fatta, oggi non più. Ha detto Silvio Berlusconi: “elezioni anticipate un guaio per il Paese”. E ha aggiunto: “non le ho mai invocate”. Sarà anche, ma certe sue precedenti dichiarazioni facevano pensare tutto il contrario, non si fidava affatto dei filiani il premier che, ora, li ritiene alleati fidati, per questo “si andrà a votare solo nel 2013”. Auguriamocelo, ma occorrono anche concreti fatti governativi, ossia l’avvio di quella stagione costituente accennata dal Cavaliere nel discorso alle Camere, quello che ha portato alla superfiducia in quanto a numeri.
Voglio dire che, ora, ci vogliono i provvedimenti, sì è iniziato oggi con il varo, in Consiglio dei Ministri, del decreto sul federalismo fiscale che qualche interrogativo pone in termini di equità territoriale. Vedremo, entro breve tempo, la consistenza delle altre misure annunciate, ad iniziare dal famoso  quoziente familiare.
Il nuovo corso del premier è, comunque, anche conseguenza del rischio di vedere un governo di transizione invece del voto anticipato, l’ha ammesso  esplicitamente Berlusconi messo sull’avviso dal senatore friulano Giuseppe Saro: “ guarda che al Senato, se rompi con Fini, molti sono disposti a sostenere nuove maggioranze. Molti miei colleghi, che fanno capo anche a partiti importanti del Pdl, non vogliono andare a votare e sono tentati da un governo di transizione che modifichi la legge elettorale”. “Il Foglio” ha addirittura quantificato in 15 i senatori di “incerta fedeltà”, mentre già si parlava di un accordo Fini-D’Alema-Montezemelo, Casini per il nuovo governo. Ho l’impressione che questa prospettiva abbia consigliato al Cavaliere di smentire la sua propensione a elezioni anticipate e ad ammettere l’esistenza di una terza gamba nel centrodestra.
Tempo politico al bello, dunque? E’ presto per dirlo perché i fattori di rischio rimangono ad iniziare dalla disponibilità dei finiani ad una nuova legge elettorale, negata da Pdl e Lega, per finire al delicato tema della giustizia. Il muovo Lodo Alfano, costituzionalmente fondato, richiede tempi lunghi e Berlusconi, per sottrarsi dai PM d’assalto ha bisogno, nell’attesa, di qualcosa di transitorio che lo metta al riparo di quelli che definisce magistrati di sinistra decisi a farlo fuori giudizialmente. I finiani, però, sono, sì, disposti a varare il Lodo, ma rifiutano di tornare sul processo breve o su leggi ritenute ad persona.  Sarà possibile trovare un compromesso o Fini si è ormai spinto troppo in direzione di un governo di transizione? Questo l’interrogativo di fondo. Se l’ex-leader di AN non gioca allo sfascio totale e non sin fa prendere dal desiderio di vendetta allora si potrà proseguire con il sistema di confronto trovato per la presidenza delle commissioni parlamentari: in mezz’ora di serena discussione tutto è andato a posto. Anche gli ex-colonnelli aennini, La Russa, Matteoli, Alemanno e Gasbarri, convocati dal premier, hanno garantito di evitare polemiche con gli ex-compagni di partito, pur se la questione del patrimonio di AN è sul tappeto e non contribuisce ad una vera pace.
Il presidente della Camera ha tutto l’interesse, in questa fase, a non rompere, evitando di presentarsi come un traditore del patto con gli elettori e concorrendo, invece, ad approvare provvedimenti importanti per i cittadini. Tutto questo dimostrando senso di responsabilità, rafforzando il suo movimento sul territorio e, attenuando gradatamente, quell’immagine non proprio positiva legata al famoso appartamento di Montecarlo. La spada di Damocle puntata su Berlusconi la tiene in mano lui. Fino a quando il Cavaliere lo sopporterà? Questo il vero problema.