LE SCORTE DI SAVIANO

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 editoriale

Mi ero sintonizzato sulla Terza rete della RAI su “Vieni via con me” ,quando sento Fazio che vuole ringraziare i Carabinieri: aguzzo l’udito e Fazio chiarisce, sono quelli che proteggono Saviano, li ringrazia perché così ci permettono di poterlo ascoltare e così inizia a declamare una lunga serie di nomi, non meno di otto.

Abituato ad amministrare aziende industriali, per deformazione professionale, meccanicamente mi vengono in mente un po di numeri e così penso a quanto ci costa Saviano. Per carità, ogni cittadino deve essere tutelato, in particolare chi subisce minacce.

Tornando a Saviano, già ritenevo un’esagerazione il caché, quello che ho letto sulla stampa, ottantamila euro per otto settimane, due mesi, non è poco, in effettive ore lavorative la somma diventa una enormità che non riesco a calcolare anche perché il suo monologo di una ventina di minuti non so quanto tempo richieda di preparazione ma, almeno su questo, ci paga le tasse, ritenute alla fonte, ma sulla scorta li siamo noi nuovamente a pagare, questa volta senza alcun ritorno, anzi questo carico di spesa sulla quale siamo impegnati tutti per quota parte, è il frutto di quanto da lui scritto e che, nessuno può disconoscere, rende ancora una barca di danaro, per carità, guadagnato meritatamente, frutto di un buon libro, come tanti, un libro di denuncia, come tanti, una tiratura più di tanti.

Questa situazione di Saviano mi fa pensare a quelle donne di cui si parla tutte le settimane, tutti i giorni, massacrate dai conviventi, dai fidanzati, che avevano denunciato e che, purtroppo, nessuno protegge anche quando era evidente il pericolo che correvano. Penso pure che qualche uomo di scorta in meno a Saviano potrebbe essere utilizzato per quegli scopi cui dicevo o, magari, visto che i proventi del libro glielo possono permettere, potrebbe provvedere da solo, con i suoi mezzi, alla propria  tutela, così come fanno tanti suoi colleghi.

Se questo accadesse saremmo sicuramente in molti ad apprezzare il suo gesto e, forse potremmo apprezzare pure di più tutte le denuncie che ci propone e, chissà coinvolgerci di più per la credibilità che ne deriverebbe.

Certo, questo discorso ci porta molto lontano, per esempio quanto scrivo nei confronti Saviano vale anche per tutte quelle scorte messe a disposizione di tanti politici, di tutti i colori, che hanno come scopo solo quello di farli sfrecciare nel traffico, con lampeggiante e sirena, o aprirgli i varchi cittadini dove i comuni mortali non possono neppure affacciarsi.

Brunetta, perché non dai un taglio?

giustus

La guerra tra Fini e Berlusconi porta solo al suicidio del Paese

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Leggendo la cronaca politica di questi giorni, il livello che ha raggiunto, mi convinco sempre di più che questa è proprio una guerra suicida quella tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi. Suicida per i due contendenti che rischiano di eliminarsi a vicenda; suicida per il Paese che, secondo il Presidente Napolitano, “sta attraversando il periodo più difficile della sua storia, paragonabile solo a quello vissuto all’indomani della guerra, con la ricostruzione”. Non v’è dubbio, comunque, che di fronte all’alluvione, che ha messo in ginocchio, con il Veneto, anche aree del Sud; al dissesto idrogeologico sempre più esteso e devastante; ad una situazione socio-economica che angoscia le famiglie, chi ha perso l’occupazione e i giovani precari o, addirittura, senza lavoro, dinnanzi a tutto questo gli attuali partiti, nessuno escluso, si mostrano del tutto inadeguati. E non offrono garanzia alcuna di rimediare ai loro errori, tutti presi da presunti interessi di parte al punto dal farci trovare nell’instabilità politica. Neppure un governo istituzionale o di transizione, come si dice, pare soluzione positiva. Innanzitutto avrebbe, agli occhi dei cittadini, il sapore di un ribaltone rispetto alla volontà popolare e farebbe di Silvio Berlusconi, che pure si vuole eliminare, quasi un martire con un grosso regalo politico, come dice giustamente il sindaco Pd di Firenze Matteo Renzi. Inoltre questo Esecutivo al Senato non avrebbe, stando ai conti di oggi, la maggioranza e, se anche riuscisse ad averla con qualche “acquisto” spesso rimproverato al premier, non sarebbe al suo interno omogeneo al punto che sarebbe difficile trovare un’intesa persino sulla legge elettorale che si vuole riformare. Non a caso Di Pietro ha annunciato che non entrerebbe in quel governo, dandogli solo un appoggio esterno a termine, ossia per 90 giorni. Vi immaginate che vita avrebbe un tal governo, il cui cemento sarebbe di costituire un Comitato di Liberazione da Berlusconi, visto che Fini e Casini sono decisamente contro il bipolarismo difeso dal Pd e non intendono fare una coalizione elettorale insieme ai democratici di Pier Luigi Bersani che, del resto, non ha alcuna intenzione di farla con i finiani?
Nonostante tutto questo, il Presidente della Camera insiste a chiedere le dimissioni  del premier con una crisi extraparlamentare (sic!) che prepari un nuovo centrodestra, ossia allargato all’Udc, soluzione non gradita alla Lega, e, soprattutto, con un altro Presidente del Consiglio, fatto sul quale
Casini è irremovibile. Il premier dal vertice di Seul ripete sino all’esasperazione: “non ho alcuna intenzione di dimettermi, se Fini vuole mi dovrà sfiduciare in Parlamento, alla luce del sole e davanti agli italiani”, in sostanza prendendosi la responsabilità della crisi in una situazione come quella che i cittadini hanno quotidianamente davanti agli occhi anche con le immagini dei Tg.

Così tutto viene rinviato a fine novembre e, probabilmente, a dicembre, ossia dopo l’approvazione della manovra economica anche con il voto dei finiani, se non sarà posta la fiducia, con la loro assenza in caso contrario. Intanto lunedì il ministro Ronchi, il vice-ministro Urso e il sottosegretario Menia presenteranno al premier quelle dimissioni che avevano messo in mano a Fini con un gesto non proprio di rispetto del Parlamento. Inizierà, così, una fase di maggior tensione anche per le ricorrenti voci  di ipotetiche soluzioni con governi di un centro destra allargato all’Udc presieduti ora da Alfano, ora da Gianni Letta, ora da  Tremonti o istituzionali con il governatore della Banca d’Italia Draghi a Palazzo Chigi. La famosa fabbrica del fango, che colpisce destra e a sinistra, rischia di lavorare a pieno ritmo, distruggendo ancor più una già devastata immagine dell’attuale classe politica che di tutto parla meno di una vera riforma di sistema indispensabile per risollevare l’Italia.

Tutto questo mentre la quotidianità incombe: il Veneto soffocato dal fango di una alluvione incruenta, non riesce a risollevarsi da solo e ciò significa avere una regione, quella più produttiva, ferma, senza creare reddito, indispensabile per il Paese; il salernitano che aspetta anch’egli gli aiuti indispensabili per continuare a vivere; Napoli che torna ad essere una ‘fabbrica’ di rifiuti buttati sulle strade: E chi più ne ha più ne metta.

Di fronte alla gravissima situazione in cui ci troviamo, le beghe dei partiti, gli scontri personali, dovrebbero ridimensionarsi e tutti assieme mettersi a tirare il carro Italia per portarlo fuori da questo pantano dove nessuno può vantarsi di aver fatto qualcosa perché non vi finisse dentro.

 Superare un momento di gravissima crisi dello Stato, quando si era giunti sull’orlo di una guerra civile, l’Italia fu salvata da una importante vittoria ciclistica  ottenuta da Gino Bartali: domani si corre il gran premio automobilistico di Dubai, chissà che una vittoria della Ferrari di Alonso non riesca a fare un secondo miracolo!?

 

SE QUESTA NON E’ PRIMA REPUBBLICA… COSA E’?

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Siamo al solito teatrino della vecchia politica, altro che innovazioni finiane! Seguendo ‘Porta a Porta’ mi sonoreso conto che tuto è un teatro che sfiora l’assurdo con un Presidente della Camera, Gianfranco Fini, che dovrebbe tutelare il parlamento e, invece, propone e fa proporre, a mò diktat, una crisi extraparlamentare rifiutata dal Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che, come si sa, non ama molto i vincoli parlamentari e, tuttavia, riporta la questione alle Camere.
Così la sfida del leader  del nascente Futuro e Libertà si rivela un boomerag, con buona pace di “Repubblica” che  esalta Fini  e sostiene che siamo al 25 luglio del Berlusca e del berlusconismo, cioè alla liberazione dal Cavaliere. Il quale è un po’ ammaccato e non più smagliante, anche per un po’ di autolesionismo comportamentale, ma  ancora sulla breccia. Sì perchè il cerino acceso della crisi  è rimasto, comunque, in mano al Presidente della Camera: o vota insieme a quella sinistra che ha indicato come alternativa al suo partito-movimento e rischia d perdere un bel po’ di consensi o appoggia dall’esterno, come ha detto, il governo che così va avanti. Fino a quando  è difficile dire.
Ecco perché ritengo che il tanto sospirato governo di transizione non pare tanto agevole da realizzarsi, tenuto conto che Fini al Senato dovrebbe “conquistare”bel pacchetto di voti dal Pdl. Inoltre,  ha ragione il”rottamatore” Matteo Renzi, sindaco di Firenze, quando dice che il sistema di voto “è solo un alibi per mettere su un governo tecnico che, poi, consentirebbe a Berlusconi di fare la vittima e rifarsi una verginità politica”. “Anche perché – aggiunge – la legge elettorale le opposizioni non la cambieranno mai perché non hanno le stesse idee su come riformarla”.
Eppoi  siamo daccapo: Fini si mette a fianco di Bersani e Di Pietro nel sostenere un Esecutivo del genere?
In sostanza, ho l’impressione che Fini ,nel tentare di mettere con le spalle al muro Berlusconi  senza assumersi la responsabilità della crisi  (dimettiti e fai un nuovo governo, con un nuovo programma e una maggioranza allargata all’Udc), abbia commesso un grave errore . Eguale e forse superiore  a quello degli ex-colonnelli di AN che avevano previsto un flop di deputati per i finiani.
E’ stato, infatti, facile per il premier replicare: io non mi dimetto, venite in Parlamento a sfiduciarmi dopochè 15 giorni orsono mi avete votato la fiducia.
Si va avanti, dunque, con la vecchia politica, tanti saluti alla vera discontinuità: il Presidente della Camera l’ha evocata, ma, come temevo, solo nei confronti di Berlusconi e del berlusconismo dai quali era pur  stato sdoganato e, a lungo, beneficato.
Ho ascoltato in diretta tv il discorso finiano. Siamo ancora alla vecchia politica, nonostante  la tecnologia e i lustrini della kermesse umbra, con tanta nostalgia del Msi e un’infarinatura di modernismo. Tutto, però, giocato sul tatticismo, sull’antiberlusconismo a 360  gradi, scoperto un po’ in ritardo, per la verità, e su etichette ad effetto senza le attese novità, senza l’indispensabile discontinuità con impostazioni, soluzioni e teorie sorpassate. I fans finiani si sono, indubbiamente, entusiasmati, ma era sufficiente parlar male di Berlusconi per attirarsi battimani e simpatie anche dal quotidiano-partito “Repubblica”. E m’è parso singolare che, mentre  ha inveito contro il culto della personalità, ha facilmente  ironizzato sull’iperbole “meno male che Silvio c’è,  abbia accolto, sorridendo soddisfatto, l’intervento del suo pasdaran Italo Bocchino che ha urlano: “faremo tutti da scudo umano a Gianfranco !” Che spunti un nuovo culto della personalità?  Può essere come rientra nel novero delle possibilità, pur se remote, che abbiano ragione coloro che vedono un Tremonti, un Frattini, un Alfano a sostituire Berlusconi a Palazzo Chigi, ovviamente d’accordo con il Cavaliere, scompigliando, così, tutte le carte politiche?
Forse siamo, come dice Renzi, alla “solita ammuina”. Di certo c’è che il governo impegnerà risorse  nei settori più urgenti, togliendo armi agli avversari, e che il capitolo riforme rischia di rimanere un libro dei sogni. E, soprattutto, non vedo risposte innovative ai bisogni vecchi e nuovi dei cittadini. Non dico di andare a pescare nella decrescita del filosofo francese Latouche, nelle sue utopie, ma i nostri politici anche da lì potrebbero trarre utili suggeri. Il guaio è che sono sempre più autoreferenziali, sempre più chiusi, quasi prigionieri, nelle loro diatribe, nei loro particolarismi. Non sarebbe l’ora di mostrare un colpo d’ala, di aprire porte e finestre all’aria di un vero, trasversale  e non solo generazionale, rinnovamento, di nuova classe dirigente? La classe politica attuale non certo l’unica depositaria di idee. E’ sufficiente lasciare un pò di spazio.
 

 

 

 

 

 

 



 

 

 

 

 

ASPETTANDO DOMENICA – LA DISCONTINUITA’ DI FINI

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Aspettando la domenica, interiormente, anche i più tiepidi, coloro che ‘sguardano’ la politica con il ghigno fra lo scocciato ed il nauseato, hanno rivolto un attimo del suoi pensieri agli scenari che sarebbero scaturiti dalla kermesse futurista di Perugina, e da quello che avrebbe spiegato al popolo planetario il nostro Gianfranco Fini.

Ci aveva fatto balenare l’idea di una sua personale scoperta di ‘discontinuità’ senza però spiegarci a cosa era riferita se verso il berlusconismo, nel quale peraltro lui si è immerso e dal quale ha tratto vantaggi inspiegabili ed impensabili, o rispetto all’attuale sistema. In questo secondo caso ci farà sapere come intende, lui, ripensare il concetto di sviluppo, il rapporto tra uno Stato profondamente cambiato, indebolito e i cittadini, offrendo soluzioni innovative a problemi di vita quotidiana.

Non vorremmo che la chiave di lettura che ci proporrà il “Nostro” sia quella di uscire da una “vecchia mentalità” che finirebbe solo con soluzioni che finirebbero per aggravare i problemi anziché risolverli.

 L’impressione che avemmo allora era che Fini più che convertirsi ad una vera discontinuità con il passato si sarebbe limitato a prendere le distanze dal governo e dal suo leader, senza avere però il coraggio di allontanarsene completamente ed assumersi la responsabilità diretta di staccare la spina.

Ma Fini, come scrive in suo editoriale Mario Sechi, “E’ un errore di prospettiva storica e di analisi politica che Fini condivide con la sinistra. E questo spiega due fatti: 1° l’incapacità cronica del Presidente della Camera di proporsi come successore  ideale del Cavaliere; 2° l’ineguatezza della sinistra a rappresentare un’alternativa di governo credibile”.

Quindi, con il senno di poi, non eravamo andati molto lontano dalla realtà: ieri ha tentato di passare nelle mani di Berlusconi un cerino che gli si sta pregnendo fra le dita. Ma le novità dove sono? E le proposte? Dove vorrebbe portarci? “Ieri –scrive Michele Brambilla su La Stampa”- Fini ha avuto il suo giorno da Leone”. E prosegue: “Un’ombra –quella del raccomandato, o quella del numero due, o perfino quella del traditore e opportunista- aveva sempre un pò sporcato il rapporto tra Fini ed il suo popolo”.

Comunque, rottura c’è stata ed è irreparabile l’unica cosa che è da verificare e quanti futuristi vogliono andare a casa: questo è quanto si chiede Frattini in una intervista rilasciata a La Repubblica. Il Ministro degli Esteri, da vero costituzionalista (Presidente di Sezione del Consiglio di Stato) sostiene: “Quello di Fini è stato un discorso politico da capo di un nuovo partito. Il che introduce una riflessione: come Presidente della Camera dovrebbe sapere che le maggioranze nascono e muoiono in Parlamento e non con un ultimatum di partito, con un atto extraparlamentare”.

A sostenere che nel discorso di Perugina sia poca quella discontinuità che in molti si aspettavano, sono i suoi stessi ex estimatori: Giorgia Meloni, Ministro della Gioventù, fedelissima sino ad ieri del Presidente di AN si sfoga: “Oggi mi sento delusa e amareggiata dai contenuti e dai toni usati dal Presidente della Camera e osservo con tristezza l’ennesimo atto di un progetto distruttivo che affonda le riforme promesse agli italiani”. Come si vede, la Meloni non ha ‘trovato’ quelle novità che darebbero una giustificazione alla sua azione di distacco che da lungo tempo stava preparando.

Più duro, se ciò fosse possibile è stato il ministro Matteoli rispondendo alle domande rivoltegli da Laura Cesaretti per Il Giornale: “questa giornata è stata segnata da tante anomalie… Al momento non c’è nessuna crisi. Sarà il Parlamento a stabilirlo, quando noi ci presenteremo in aula con i nostri provvedimenti: se c’è chi vuole la crisi, voterà contro e vedremo se c’è o no una maggioranza”. E prosegue: “Quella richiesta di dimissioni appare del tutto pretestuosa: se vuole rinegoziare un patto di governo, perché non si mette a un tavolo e lo fa ora”? “…solo poche settimane fa Berlusconi si è presentato davanti alle Camere con un programma di fine legislatura. E ha ottenuto la fiducia a larga maggioranza. Era il 29 settembre: cosa è accaduto da allora ad oggi per arrivare a minacciare il ritiro dei ministri e a intimare a Berlusconi di dimettersi per rinegoziare governo e programma? Non lo so. O meglio, lo so: niente, niente che possa indurre ad un cambio di posizione così radicale da Futuro e Libertà”.

Sante parole quelle del Presidente Cossiga riportate dal suo libro “Fotti il Potere”: “il potere è al tempo stesso fine e mezzo dell’azione politica”. E citando Carl Schmitt, “le cui teorie, cardine del pensiero politico contemporaneo sostiene che chi ha accesso diretto al re…partecipa del suo potere…quanto più il potere si concentra in un luogo preciso, nelle mani di un singolo o, come si suol dire , di un vertice…tanto più violenta, accanita e muta diviene allora la lotta tra coloro che occupano l’anticamera e controllano il corridoio”. E’ Cossiga a sostenere nel suo libro che “c’è un Cesare in tutti noi, ed in alcuni un Caligola”. Io aggiungerei che in alcuni capeggia la figura di Bruto.

giustus