Feltri ha definito il discorso programmatico di Letta per la fiducia alla Governo un intervento democristiano sullo stile degasperiano, io oserei dire che più moderato di così non poteva essere, credo che nessun pidiellino avrebbe potuto pronunciare un discorso diverso. Ora però bisogna attendere i fatti.
Bisogna ben dire che quello presieduto da Enrico Letta è un governo di svolta, come spera persino Eugenio Scalfari nell’elogiarlo, o soltanto a tempo? Difficile dirlo oggi prendendo alla lettera le sue parole, cioè, se entro diciotto mesi, tempo ragionevole per fare quelle riforme istituzionali indispensabili per quella svolta che lui stesso auspica, ne trarrà le dovute conseguenze. Dissento in pieno da Matteo Renzi che ha definito quello di Letta un buon governo, ma debole. E’ vero, ci sono le divisioni e le delusioni nel Pd, l’ira nascosta degli esclusi da ministri e le sirene dei sondaggi nel Pdl, oltre allo scontento dei montezemoliani in Scelta Civica. Sono queste realtà che costituiscono rischi per Letta (magari non subito) quando ci saranno voti segreti.
Che sia un “governo politico, l’unico possibile come ha detto Il Capo dello Stato, lo testimoniano il premier, vice-segretario del PD, il suo vice e ministro dell’Interno Angelino Alfano, segretario del Pdl e il ministro della Difesa Mario Mauro, capo dei senatori di Scelta Civica.
Che sia l’unico possibile lo dimostrano la posizione di chiusura ad ogni collaborazione con gli attuali partiti espressa dal Movimento 5 Stelle, più volte confermata dal suo leader Beppe Grillo, e il risultato delle urne che non ha dato ad alcuna coalizione la maggioranza a Senato.
Altrettanto evidente è che Napolitano ritiene possa essere di tregua e pacificazione dopo gli inutili vent’anni di guerra continua, non a caso ha messo in soffitta l’antiberlusconismo, tornando ad un normale confronto senza “impresentabili” e c’è la speranza che anche il berlusconismo più becero faccia un passo indietro. Tutto questo lo ha ripetutamente sottolineato nella parte politica del suo discorso programmatico, ferme restando le differenze, ma l’indispensabile necessità di rimanere tutti uniti nel momento delle necessità del Paese.
E’, senza ombra di dubbio, un governo di svolta ed è maggiormente evidenziato dalla scelta dei ministri con l’evidente rinnovamento: basta guardare all’età media che non pare contraddire le capacità dei singoli, con significative new entry ad alti livelli politico-operativi. Questo aggiunto ad un programma che, sintesi dei tre partiti e del lavoro dei dieci saggi, dovrebbe non solo affrontare e superare l’emergenza, ridando fiato a famiglie e imprese e rilanciando l’occupazione, ma anche varare indispensabili riforme di struttura per determinare una discontinuità con i “vent’anni di guerra” e operare quei profondi cambiamenti che siano alla base di un nuovo sistema e di un nuovo stato.
Ci sarà il senso di responsabilità degli attuali attori politici per consentire tutto questo? Questo il problema. Non v’ha dubbio, infatti, che all’interno dei partiti di maggioranza parlamentare esistano sacche di resistenza per l’intesa e delusi per le scelte dei ministri. Soprattutto sono evidenti in un Pd profondamente diviso è a rischio scissione, con una sinistra interna all’offensiva, forse anche stanca dell’ anima ex-dc, oggi privilegiata dal governo Letta; una sinistra che, in alcuni parlamentari, si è già criticamente espressa nei confronti dell’accordo con il Pdl ed avverte il richiamo della foresta di Vendola. Se si aAggiunge l’ira delle vittime della rottamazione (i dalemiani), dei franchi-tiratori (i mariniani e i prodiani), gli ignorati (i veltroniani) e l’incognita renziani si avrà un quadro non proprio esaltante.
Né è tutto tranquillo nel PdL, dove le esclusioni governative pesano , e non mi riferisco solo alla componente ex-An, tutto questo aggravato dalla tentazione dei sondaggi e, quindi, di elezioni anticipate, mettiamo addirittura in autunno. Elezioni che potrebbero dare la maggioranza al centrodestra anche al Senato con un’alleanza con Scelta Civica sempre più vicina al Pdl e con un Monti che in TV ha definito Silvio Berlusconi il “miglior politico” in circolazione.
Non mi pare, infine, che tutto fili liscio anche tra i montiani con i malumori dei montezemoliani esclusi dai ministeri.
Certo, nel voto palese di fiducia e nemmeno per i provvedimenti popolari mancherà la maggioranza, il rischio dei franchi-tiratori è nei voti segreti. Alla Camera c’è, per il governo, un margine di 112 voti (maggioranza 315, 437 la somma dei tre partiti) e al Senato di 59 (160 la maggioranza, 219 la somma per Letta): sono molti , ma se si sommassero i malumori tutto potrebbe accadere. Va aggiunto, infine, il problema dei processi in corso per Silvio Berlusconi: una eventuale condanna ,con interdizione dai pubblici uffici, porterebbe inevitabilmente alla crisi governativa.
Saranno i prossimi mesi a dirci se quello Letta è veramente un governo di svolta o a tempo. Sarebbe un bel giorno, per il Paese, se fosse, davvero, quella realtà pacificatrice che chiude una dissennata e distruttiva “guerra dei vent’anni”.