E’ pilotata l’uscita Inglese dall’U.E.?

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Credo che la sorpresa non sia stata soltanto mia quando ieri mattina è stato annunciata la vittoria dei exit della Gran Bretagna dall’Europe. I sondaggi davano, anche a tarda notte, la vittoria di chi voleva rimanere nell’Unione Europea, soprattutto dopo l’uccisione della parlamentare laburista. Sul web, invece, fonti non identificate insistevano, invece, a dire che la regina, con la sua richiesta piena di sottintesi “ditemi tre ragione per rimanere nell’UE, aveva spos

tato il voto a favore dell’uscita. voci  d’Oltreoceano confermavano questa diagnosi, spiegando che i poteri forti internazionali s’erano accordati per la Brexit con la Corona inglese e con quel che essa significa in particolare con il Principe consorte. Si trattava, dunque, di una manovra “pilotata” che aveva obiettivi costruttivi, non distruttivi come sostenevano fior di economisti, i vertici di Bruxelles, del Fondo Monetario e di varie istituzioni:

L’assunto era questo: americani, russi, arabi, indiani, cinesi ed altri asiatici ( ossia il Gotha della finanza internazionale) avevano fatto ma bassa di acquisizioni con massicci investimenti nell’Eurozona (in Italia mettete anche olandesi e francesi), dove il sistema non funziona più da tempo, domina l’austerity imposta dalla Germania, il debito pubblico è una palla al piede per vari Paesi , la crisi economica non accenna a finire e vige la stagnazione. Aggiungete che l’euro ha un diverso potere d’acquisto a seconda delle Nazioni che fanno parte dell’Ue, creando forti disparità anche per il dissennato ampliamento ad Est della comunità europea. Nè va dimenticato che la locomotiva Germania ha iniziato a marciare con l’unificazione e la successiva equiparazione del marco dell’Est- valore circa 300 lire- con quello dell’Ovest- valore circa mille lire- che ha dato, anche con l’introduzione dell’euro, un potere d’acquisto tre volte superiore al previsto dei tedeschi dell’ex-blocco comunista, i quali hanno ovviamente comprato auto, elettrodomestici ed altri generi soprattutto dalle aziende dell’ovest germanico, determinando un vero, ma momentaneo boom. Come corollario c’era il fatto che la Gran Bretagna ed altri due Paesi dell’Ue non avevano accettato l’euro, ma disponevano di rappresentanti in quella Banca Centrale Europa che decide i tassi di sconto e può fare manovre finanziarie ovviamente anche a difesa dello stesso euro.

Dinnanzi a questa situazione – secondo i si  dice d’Oltreoceano – poteri forti internazionali, non più in guerra, ma di nuovo alleati, avrebbero fatto un accordo con la Corona inglese e suoi importanti aggregati per evitare che i massicci investimenti stranieri e non nell’eurozona rischiassero di essere fortemente perdenti per il persistere di un dannoso monetarismo vecchia maniera, dello strapotere delle banche e di una austerity che ha portato alla stagnazione. Da qui l’utilizzo “pilotato” della Brexit perché la Gran Bretagna costituisce il grimaldello per giungere alla costruzione di un diverso modello di sviluppo che rilanciando le risorse per famiglie e ceto medio ricrei la ripresa dei consumi e, quindi, la possibilità di far fruttare le tante acquisizioni produttive avvenute.

Uno dei principali obiettivi potrebbe essere, ad esempio, la creazione di un mercato dei servizi che esca dalla logica dell’attuale Unione Europea come già alcuni importanti fondi di investimento indicano. Si uscirebbe, in sostanza, da una modello che ha ispirato la politica di spesa pubblica non legata alle prospettive di sviluppo, ma all’insediamento delle classi dirigenti governative, generando instabilità monetaria e crescita di tassi di interessa con aumento costante dei debiti degli Stati.

Se così fosse sarebbe la Brexit, vittoriosa con il 51,9%, ossia con oltre un milione di voti in più di chi voleva rimanere nell’Ue, il grimaldello per distruggere definitivamente un sistema che non funziona da tempo e determinarne uno nuovo che, partendo dal locale, affermi un modello sociale ed economico più giusto.

Saremmo, quindi, difronte non a quel disastro ipotizzato da molti esperti veri o presunti, con due anni per l’uscita definitiva della Gran Bretagna ma ad un terremoto momentaneo e, alla fine, salutare. Auguriamocelo.

Nell’attesa la cautela è d’obbligo, evitando l’errore di farci prendere dal panico e di seguire quei populisti lepenisti che in Francia ed in Italia, dopo il flop alle recenti amministrative, cercano di recuperare, cavalcando un referendum per l’uscita dalla Ue anche dei nostri Paesi. Sarebbe pericoloso perché se, davvero come vari indizi farebbero ritenere, siamo difronte ad una manovra pilotata, non dobbiamo disturbare i manovratori con iniziative capaci di complicare la situazione ed esporci a ritorsioni. Finiremmo, infatti, per aiutare a distruggere, non a costruire un nuovo positivo sistema socio-economico.

Pd: exit e elezioni una vera dèbacle – la sinistra dem chiede le dimissioni del segretario

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Per chi ieri è andato ha letto presto al risveglio ha dovuto prendere atto che, contrariamente alle previsioni e, smentendo nettamente i sondaggi, la Gran Bretagna ha detto no all’Europa. Quali saranno gli sviluppi politici ed economici è ancora presto per valutarli. In proposito, diceva Brunetta, che male era se avesse vinto l’Europa, tutti i benefit concessi alla Gran Bretagna sarebbero stati pretesi dai 27 Stati restanti, quindi, paradossalmente, era auspicabile quanto poi effettivamente è avvenuto. Secondo l’uomo di Forza Italia, l’Europa dovrebbe da questo dato  trarre, nel medio lungo termine, vantaggio. Sicuramente Brunetta ha motivo di sostenere questa tesi ed io non ho motivo di metterla in dubbio,quello che mi è chiaro è la situazione interna italiana, sin da oggi avrà una difficoltà in più per quel che riguarda il Governo e Renzi che si trova ad affrontare una Direzione del suo partito, già ingarbugliata per suo conto.

La sconfitta elettorale di domenica scorsa, è stata una vera dèbacle: persi 45 comuni, cioè la metà di quelli che si avevano, e nei 24 capoluoghi rispetto alle “europee” è volato via ben il 23,26%, confronto forse un po’ forzato quello di Ballarò, essendosi trattato di elezioni diverse. Tutti gli altri, infatti, hanno perso qualcosa, ma molto poco nonostante la flessione dei votanti: i 5Stelle hanno perso l’1,23% ed il centrodestra il 3,3% causa le perdite della Lega salviniana.

Sarà, quindi una direzione molto tesa perché la minoranza dem è all’attacco, chiede le dimissioni del segretario, una diversa politica economica, un ritrovare l’anima sociale del partito, un ristabilire un ascolto delle esigenze vere degli italiani, il cambiare la legge elettorale. Lui, Renzi, respinge, però, le critiche, scarica sugli altri, soprattutto la vecchia guardia, la dèbacle ed insiste a dire che ha fatto tante riforme, sta cambiando l’Italia ed il vero appuntamento è in ottobre con il referendum costituzionale. Sul quale i sondaggi sono già in rosso per i sì, superati abbondantemente dai “no”, anche se molti sono gli incerti e coloro che ancora non sanno di cosa si tratti anche perché il tema non appassiona gli italiani.

Stamane gli oppositori dem del segretario-premier si ritroveranno per stabilire una linea comune, ma già sono intervenuti i Bersani, i D’Alema, i Cuperlo, gli Speranza, ossia i vecchi e nuovi leader della sinistra, ai quali s’è aggiunto con un carico da novanta Romano Prodi, per il quale è indispensabile “cambiare politiche e non solo politica o il partito invecchia presto”. Persino un’attrice famosa come Sabrina Ferilli va in Tv a farsi intervistare per un attacco a tutto campo a Matteo Renzi che avrebbe trasformato il Pd al punto da renderlo irriconoscibile a chi è di sinistra. Tesi sviluppata a tutto campo sul Corriere della Sera da Massimo D’Alema, secondo il quale il segretario “sta rottamando il Pd”, precisando che voterà no al referendum d’ottobre perché “anche le riforme di Berlusconi erano migliori”.

Dal fronte renziano difese d’ufficio, ma un po’ deboli, dinnanzi al fuoco di fila, in qualche caso eccesivo, non solo della minoranza, ma anche di commentatori, sino ad ieri benevoli nei confronti dell’ex-sindaco di Firenze ed ora pronti a salire su un altro carro, per la verità ancora nebuloso. Qualcuno riscopre persino Forza Italia che è uscita bene dal turno elettorale e che Silvio Berlusconi è deciso a rilanciare per tentare il recupero dei molti moderati assenteisti dal voto. Ancora in ospedale per la terapia di riabilitazione dopo il delicato intervento, attende la visita annunciata di Putin e intensifica i colloqui politici , elogiando anche le sindache grilline “volti strepitosi e discorsi responsabili”.

Chi, invece,appare sempre più torvo è Matteo Salvini, l’altro sconfitto, duramente attaccato dal fondatore della Lega Bossi : “ Salvini ha perso, serve un congresso che dia un mandato preciso al segretario”. Nè è senza significato che il potente governatore del Veneto, Luca Zaia, che il Cavaliere ha inserito tra i possibili candidati premier del centrodestra, abbia sottolineato i successi della Lega nel Veneto e, riferendosi al livello nazionale, abbia solo detto che gli elettori “hanno bocciato Renzi senza esame di riparazione.”

Sia così o no, è certo che dopo questo importante turno amministrativo, che ha visto la maggioranza degli italiani disertare le urne e votare scheda bianca e nulla sarà più come prima nella politica italiana. Ho l’impressione che una buona parte degli attuali protagonisti non l’abbia compreso e che si prepari ad affrontare una stagione difficile e delicata. L’uscita della Gran Bretagna dalla Ue dopo le allusioni della Regina, senza avere una necessaria bussola, è proprio la temuta (da molti) uscita inglese potrebbe,invece, essere la partenza per abbandonare un sistema da tempo finito e costruirne uno nuovo che elimini le attuali abissale distanze tra pochi ricchi e molti poveri, diseguaglianze non più sopportabili, restituendo anche all’Italia quel ceto medio asse portante di qualsiasi rinascita.

Il fatto che la Regina d’Inghilterra, con quel che rappresenta insieme al suo consorte, si sia indirettamente pronunciata per l’exit inglese fa sperare che si tratti di un’operazione pilotata tra poteri forti, finalmente non più in guerra tra loro, per tentare di costruire una società più giusta capace di trovare le sue fondamenta nella “Laudato Sì” di Papa Francesco.

La fuga dal voto degli italiani

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Rivedendo complessivamente i risultati elettorali, soprattutto, gli aventi diritto al voto e coloro che tale diritto hanno esercitato, emerge un dato scoraggiante, l’enorme assenteismo tanto da dimostrare come certe grandi maggioranze finiscono per divenire minime, rappresentanti di un numero di cittadini ridotto e privo della rappresentanza che dovrebbe avere. Perchè questo ? E’ conseguenza della sfiducia degli italiani nei partiti politici e nelle istituzioni, ma la maggioranza degli elettori diserta le urne od esprime scheda bianca e, peggio, nulla, che contiene persino ingiurie. Questo il dato di fondo dei ballottaggi di domenica scorsa per i sindaci dei Comuni capoluogo. Si illudono, quindi, i grillini, vincitori di giornata, di essere sulla cresta dell’onda, pronti a scalare Palazzo Chigi. La loro vittoria, infatti, è stata il frutto di due combinazioni probabilmente irrepetibili. Queste:

1°) molti elettori del centro-destra e parte dell’estrema sinistra si sono espressi, nei ballottaggi, per i pentastellati non certo a favore, bensì contro i candidati del Pd e, in particolare, contro il candidato premier, andando, così, ad ingrossare il voto di protesta che già s’era indirizzato verso i grillini, ad esempio, a Roma e Torino.

2°) La maggioranza degli elettori ha disertato le urne o espresso scheda bianca e nulla a conferma della abissale distanza tra cittadini e movimenti politici, nessuno escluso considerando che anche i vincitori dei ballottaggi sono espressione di una minoranza.

Aggiungete che i grillini sono chiamati ad una prova amministrativa durissima, quasi “impossibile” nella Capitale, dove governeranno anche 12 dei 14 municipi, dovendo rispondere, con una classe dirigente a questo livello spesso improvvisata, all’entusiasmo suscitato a livello delle classi più umili che, se deluse, potrebbero esprimere in varie forme la loro rabbia. Già i nuovi sindaci, chiamiamole sindachesse, di Roma e Torino hanno commesso un errore, la prima parlando male dell’Ama che ha perso oltre tre punti in borsa e la seconda, facendo determinare una perdita di oltre il 2% delle azioni di Banca Intesa San Paolo con la richiesta delle dimissioni del Presidente in carica non da molto tempo su designazione del sindaco uscente Fassino. Né l’Appendino è sembrata ancora consapevole dei doveri di un primo cittadino quando s’è dichiarata contro la Tav, ammettendo che la questione non dipende dal Comune di Torino, ma di fatto costituendo una sponda agli antagonisti.

C’è da augurarsi, nell’interesse della Capitale e dell’ex-Capitale d’Italia, che si sia tratto di errori di inesperienza e che, poi, alla prova dei fatti le due battagliere esponenti grilline siano positive e ben supportate. Colpisce, però, il fatto che Grillo abbia voluto mettere le mani avanti, evocando futuri interventi della magistratura nei confronti di suoi alludendo sia al boicottaggio anti-grillino da parte di vari ambienti, sia all’inesperienza di certi suoi eletti.

E’ certo, comunque, che nessuno, nemmeno i vincitori di domenica, possono dirsi al riparo da un sommovimento politico che può trasformarsi in un vero e proprio terremoto e che vede la stragrande maggioranza degli italiani, votante e non, chiedere a gran voce il cambiamento di un sistema che non funziona più da un tempo. Lo comprenderanno i nostri politici ? Certi segnali non inducono all’ottimismo come certe uscite di un Salvini, uscito un po’ ammaccato del voto di domenica , che insiste su tasti perdenti ed in una polemica assurda nei confronti dei moderati, molti dei quali fanno parte di quell’oltre 50% che diserta le urne o vota scheda bianca ed attende di ritrovare un punto di riferimento politico. Né convincono certi ritorni ulivisti della minoranza dem, riproposizione di stagioni politiche fallimentari per l’eterogeneità dei soggetti riuniti in un sinistra-centro, mentre qualche big renziano non pare ancora rendersi conto dell’accaduto, mentre il leader maximo ha compreso che è stato un voto anti-sistema, ma insiste su una riforma costituzionale, abbinata ad una legge elettorale assurda, che come dimostrano tutti i sondaggi non interessa affatto agli italiani, affannati e intristiti da una crisi economica che pare non finire mai.

C’è, quindi, un vuoto immenso nel quadro politico italiano che attende d’essere colmato da chi abbia idee e proposte concrete, non promesse e annunci. C’è anche un mondo cattolico, culturalmente vincente e animato da un grande Pontefice, un mondo, cioè, non integralista, aperto all’apporto dei laici, il quale è oggi privo di rappresentanza politica. Non a caso Papa Francesco, nel maggio dello scorso anno, ricevendo un’associazione di giovani laici collegata ai gesuiti disse che i cattolici hanno il dovere di impegnarsi in politica, citando l’impegno di Alcide De Gasperi e Robert Schumann, che sta per essere fatto beato. Specificò il Papa che non intendeva dire un partito cattolico, ma un partito, sì, quasi a richiamare la grande stagione della collaborazione tra laici e cattolici caratterizzata dalla lezione degasperiana di una DC che guardava a sinistra, cioè al sociale e nella quale poteva convivere l’anima risorgimentale di laici non anticlericali.

Matteo Renzi aveva la possibilità di essere il collettore di questa realtà maggioritaria nel nostro Paese. Commise l’errore di scegliere, per motivi di opportunità interna al suo partito, il socialismo europeo in evidente decadenza anche ideativa, pur dando vita, al governo, ad un ibrido che non si sa cosa sia. Oggi sarebbe, forse, in tempo a rimediare all’ errore commesso, riscoprendo le sue origini, le sue tradizioni. Non so se ne avrà il coraggio e la forza questo dopo che ha affermato che lui “ha giurato sulla Costituzione, non sulla Bibbia”, ma deve sapere che quel grande vuoto politico che s’è creato qualcuno alla fine lo coprirà. Perché l’attuale sistema è finito e un vasto mondo moderato, composto anche da quel ceto-medio ora ignorato, attende di riavere una sua rappresentanza capace di determinare un nuovo rinascimento italiano che, grazie a Papa Francesco, si chiama oggi “Nuovo Umanesimo”.

Un voto di protesta – messaggio negativo per Renzi

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Ho seguito da vicino la campagna elettorale di Olbia e, di giorno in giorno, si percepiva sempre di più l’avversione per tutto ciò che riportava, in qualche modo, al nome di Renzi. La competizione era tra un PD sbiadito ed una minestra riscaldata, rappresentata da un uomo per tutte le stagioni. Ebbene, alla fine, chi ha vinto, anche se sul filo di lana? La minestra riscaldata. E, così, quello di ieri, non poteva che essere un voto politico, nonostante quel che sostiene Matteo Renzi, un chiaro voto di protesta che costituisce un forte segnale negativo per il segretario-premier. I vincitori sono, così, i grillini  che trionfano a Roma e conquistano, ecco la maggior sorpresa, Torino, oltre a vari comuni  grazie  all’apporto determinante, nei ballottaggi per i sindaci, di elettori del centrodestra e, probabilmente, anche di alcuni di sinistra. I 5Stelle si vedono già a Palazzo Chigi, ma questi suffragi trasversali valgono oggi quando c’è il  confronto con il Pd renziano, ma non sono  voti di adesione a Grillo e soci e al primo soffio di un rassemblement di centrodestra  andranno, in gran parte,  altrove  come testimonia un sondaggio effettuato proprio ieri. Nè va  dimenticato che  quasi la metà dei potenziali elettori non si è recato alle urne  e non sono state poche le schede bianche e nulle , segno che nemmeno i grillini riescono  a captare tutto il voto di protesta contro l’attuale sistema e gli attuali partiti.

La sconfitta del Pd è, comunque, evidente: perde nei ballottaggi  ben 13 sindaci  di capoluogo  sui 20 che aveva: Roma, Napoli e Carbonia che vanno ai grillni, Pordedone e Trieste , nella Regione Friuli presieduta dalla vice-segretaria dem Serrachiani, Novara, Savona, Grosseto, Olbia, Isernia, Brindisi, Benevento, Crotone al centrodestra che si è confermato a Latina. I dem  ne conquistano due: Varese, ex-roccaforte leghista, e  Caserta, confermandosi a Milano ,Bologna, Ravenna.

Lo stesso Renzi. senza troppi drammi. ammette  la “batosta”, come scrive il “Corriere della Sera”, e dice: “Abbiamo perso, c’è poco da dire. E vi dirò di più, quando ci battiamo con i grillini prendiamo la batosta. Ho rottamato troppo poco. Devo mettere da parte la vecchia guardia”. “Comunque, –sottolinea- sia chiaro: non mi dimetto, non è, oltretutto, un voto politico, la vera sfida è al referendum costituzionale. La minoranza chiede il congresso? S’accomodi, tanto si va a dopo il 2 ottobre”, ossia dopo il referendum. Il problema, per il segretario premier, è che se non cambia atteggiamento, non la smette con gli annunci e con il “tutto va bene”  non sarà facile per lui ottenere il “sì”. I cittadini sono stanchi di promesse e false certezze. La sinistra interna, com’era scontato, è all’offensiva e, probabilmente, Renzi  userà davvero il lanciafiamme contro  le correnti   che stanno rianimandosi  e che iniziano a soffiare anche tra i renziani, soprattutto coloro che non sono in sintonia con il “giglio fiorentino”.

Ci attendono, in sostanza, giorni di forte turbolenza anche perché gli alleati alfaniani sono sempre più preoccupati per il loro futuro politico con quell’Italicum che li penalizza e che  il premier non intende affatto cambiare. Chiederanno, quindi,  maggiore collegialità nella maggioranza parlamentare  e meno protagonismo del numero uno di Palazzo Chigi. Ci riusciranno? Ho l’impressione che avranno solo briciole, ma avendo comunque posizioni di potere forse si quieteranno.

Anche nel centrodestra non sarà facile calmare le fibrillazioni e sanare le divisioni anche perché la Lega non è andata affatto bene, ha perso addirittura la sua roccaforte Varese ed a Milano una parte degli ultrà leghisti ha, probabilmente, disertato le urne  per la presenza degli alfaniani, politicamente ripudiati un giorno sì e un giorno no dal leader verde. Il quale non era stato certo entusiasta della candidatura di  Parisi (imposto da Barlusconi), protagonista, comunque, di un exploit con il suo 48,3% , è stato solo ad un passo da una clamorosa vittoria. Il clamoroso silenzio nella campagna elettorale del Governatore veneto  Zaia, le esplicite critiche a Salvini del  fondatore della Lega Bossi sono segnali che le  bellicose dichiarazioni  salviniane (“chi ha sbagliato pagherà”) preannunciano confronti non proprio idilliaci. Né le acque possono essere tranquille in Forza Italia, dove c’è chi  si candida alla successione ad un Berlusconi che non pare voglia ancora cedere lo scettro  e  vorrà ancora guidare il partito se i medici non glielo proibiranno. Ovviamente, anche qui, il “cerchio magico” è sotto accusa ed è probabile che qualche cambiamento si stia determinando  e, forse, tornerà a incidere Gianni Letta che il governatore della Liguria Toti aveva cercato di mettere in ombra e che si stava muovendo come vero successore del Cavaliere.

In sostanza, la scena politica è in gran movimento e tutto può accadere. Anche che Matteo Renzi comprenda  che esiste un gran vuoto, ossia quello degasperiano del centro che guarda a sinistra, ossia al sociale, è cambi strategia per occuparlo, ricordando che il ceto medio è una forza sociale, economica e politica da ricostituire e che, in Italia, i moderati, come scrivevo qualche giorno fa, sono la maggioranza e in molti, tanti,  non si recano più alle urne.

L’ Italia dei moderati è maggioranza

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Se c’era qualcuno che aveva dei dubbi il voto del  giugno gli ha confermato, secondo molti osservatori, che siamo in un sistema politico tripolare: grillini, Pd e centrodestra che, pur diviso a Roma, Torino ed in alcuni altri comuni,a livello nazionale ha addirittura aumentato del 4%.  Dico “avrebbe”, devo usare il condizionale, perché a legger bene dai  dati emerge un’altra realtà: i moderati, in Italia, sono in netta maggioranza, ma ancora non trovano il punto di riferimento partitico  e si frammentano  molti nell’assenteismo dalle urne, altri nel tripartitismo, finendo anche tra i grillini, soprattutto nella capitale, dove non sono pochi i delusi dagli altri due schieramenti, dando così un forte segnale di protesta, quasi un richiamo a smetterla con i giochi delle vecchia politica o con gli interessi personalistici.

Questi moderati, un tempo, avevano in gran parte creduto in Silvio Berlusconi, dando al Cavaliere una maggioranza  anche amplissima, sprecata, poi, nello scontro tra big, in una politica che nei fatti rinunciava all’annunciata rivoluzione liberale proprio per le divisioni interne  e, infine, caratterizzata dalle continue scissioni  nel Pdl. Si bruciavano, in questi scontri, i possibili eredi di Berlusconi, cioè prima Casini, poi   Fini, mentre il leader era costretto a dimettersi da Palazzo Chigi, lasciando il campo ad una serie di governi con presidenti del Consiglio non eletti dai cittadini.

La scesa in campo del giovane sindaco di Firenze, che proveniva dalla cultura politica dei moderati, ossia di quella  Dc degasperiana che guardava a sinistra, intendendo per sinistra non lo schieramento politico bensì  l’esigenza di socialità, di guardare anche agli ultimi, facendo prevalere l’economia sociale di mercato. Per questo molti moderati parteciparono alle primarie del Pd, che pure non votavano alle “politiche” solo per far vincere Matteo Renzi. E ripeterono il loro appoggio all’emergente leader, facendo arrivare il partito che aveva conquistato come segretario, oltre il 40% alle “europee”, nonostante  l’assenteismo di frange  di sinistra sospette nei confronti di quello che non pochi ex-comunisti ritenevano un alieno  rispetto alle tradizioni “rosse” anche perché intendeva rottamare i vecchi big  del mondo ex-comunista.

Poi Renzi, che ,intanto,s’era insediato a Palazzo Chigi  , sfrattando Enrico Letta, che veniva dalla sua stessa   cultura politica, ma era sostenuto da  Bersani, scoprì la sinistra e, in particolare, il socialismo europeo, esaltandolo con l’ardore di un neofita: Forse era il tentativo, poi clamorosamente fallito, di inglobare la sinistra dem  che lo criticava. Iniziò, comunque, da qui  una perdita di consensi, in tutti i sondaggi, proprio per la delusione crescente dei moderati che, in parte si sentivano traditi al punto che un importante cardinale vaticano  disse ad un gruppetto di esponenti cattolici laici “ci ha voltato le spalle”.

Il Patto del Nazareno, che ebbe il potere di resuscitare politicamente Silvio Berlusconi, sembrò una svolta verso il centro così come alcuni provvedimenti governativi  in linea con il  programma berlusconiano  fecero ritenere a non pochi che il segretario-premier fosse il vero erede del Cavaliere  che aveva sempre dimostrato di stimarlo molto , ricambiato dal  rifiuto renziano di unirsi al coro anti-berlusconiano.

La scelta di Mattarella come Capo dello Stato,pare su suggerimento del potente componente la Corte Suprema Usa, l’oriundo siciliano Scalia, recentemente scomparso, mentre il candidato concordato era Giuliano Amato,portò alla rottura da parte del leader della rinata Forza Italia. Renzi perse, così, altri consensi almeno nei sondaggi.

Le successive manovre verso il Partito della Nazione avevano riacceso alcune speranze, spente immediatamente, nei moderati cattolici, non tanto dalla legge sulle Unioni Civili quanto dall’aver posto su di essa  la fiducia  alla Camera, dove ha una maggioranza bulgara provocando la dura reazione del segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor  Galantino , molto vicino a Papa Francesco.Il voto del 5 maggio ha dimostrato che  questo scontro con i vescovi italiani non è stato senza conseguenze sul piano elettorale.

Nessuno, però, oggi è in grado di  costituire un punto di riferimento politico  per questa ampia maggioranza moderata. Non lo è il centrodestra per un Salvini  lepenista che polemizza  con un Papa ultra-popolare, di fatto, non  solo capo della Chiesa , ma anche  del mondo come dimostrano la stima e la deferenza  nei suoi confronti di tanti leaders mondiali. Non lo sono affatto i “5 Stelle”, anti-clericali in Grillo ed in alcuni esponenti, comunque a parte Roma e Torino non in grande spolvero elettorale  e capaci solo di captare, momentaneamente, un voto solo di protesta. Non lo  sono , oggi, Renzi  per i motivi sopra esposti e men che mai  la sinistra dem non certo in sintonia con i cattolici.

Non è, questo, un quadro  rassicurante. La responsabilità maggiore  è del giovane rampante venuto da Firenze. Se ritorna alle origini, se si ricorda delle sue radici, se la smette con l’incensare un socialismo  che persino un suo amico, come l’attuale sindaco di Firenze, considera finito  e  se con chiarezza punta al Partito della Nazione ,avendo, però, il coraggio di cambiare la legge elettorale, forse non solo  riuscirà ad uscire  dalla trappola nella quale s’è cacciato e che lo porterebbe alla disfatta, ma soprattutto tornerà ad essere il positivo punto di riferimento politico dei moderati italiani, ossia della maggioranza dei cittadini.

Certo, non sarà facile, per lui, recuperare  perché  dovrà, innanzitutto, ritrovare la cultura del dialogo e del confronto, quella che, in Italia, è stata, alla fine,sempre vincente. Forse farebbe bene a consultare, ad esempio, uno scienziato come Giacomo Rizzolatti, scopritore dei neuroni specchio. Potrebbe insegnargli quel linguaggio empatico che contribuì a far vincere Obama la seconda volta.Un linguaggio ben diverso dal “tutto bene” che usa oggi e che è lontano dalla realtà quotidianamente constata dai cittadini

Olbia in controtendenza Nazionale -Pd, Salvini e Berlusconi i veri sconfitti dall’antisistema

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Il mio Amico Antonio, riferito al risultato elettorale di Olbia, in controtendenza nazionale, non ha premiato i partiti identitari ella Sardegna, in un commento a caldo ha definito il voto “un chiaro esempio di sardomasochismo”.

Come dargli torto? L’elettore di Olbia ha voluto premiare il vecchio, lo stantio. E’ mancato il coraggio di vedere il nuovo, non ha voluto rischiare nulla, se di rischio si poteva parlare. L’elettore di Olbia ha preferito premiare chi ha contribuito direttamente allo sfascio della città e chi negli ultimi dieci anni ha brillato per la sua assenza.

Ebbene, questa è la democrazia.

Consentitemi ora una analisi a caldo del voto nazionale, A mio modestissimo parere è’ stato un voto contro il sistema, questa la verità, ossia un voto non a favore, ma contro. Ne hanno beneficiato i grillini, i vincitori,  e non Salvini  anch’esso anti-sistema, ma non credibile come i “5 Stelle” e, oltretutto,malvisto dai cattolici per gli assurdi attacchi a Papa Francesco e non gradito dai moderati . Il risultato di questo combinato disposto, ad esempio,  ha portato per  la Lega a Milano un misero 11,77% contro 20,20% di Forza Italia. Nè il leader leghista è riuscito a sfondare a Roma e Napoli , dove aveva rotto con Berlusconi, nel primo caso non portando la Meloni al ballottaggio, nel secondo vedendo il candidato forzista, da lui non appoggiato, andare, invece, al ballottaggio. In sostanza, ecco un centro-destra frantumato con tanti cocci difficile da riparare.

Se su questo fronte non possono sorridere anche se la speranza di conquistare Milano è ben viva, sull’altro, quello di centrosinistra, è quasi peggio perché ha retto solo nella capitale lombarda, dove comunque rischi di perdere, ed a Cagliari dove il sindaco uscente è vicino a Sel, altrove si è dissolto come neve al sole, con il flop, inoltre, dell’alleanza napoletana tra dem e verdianiani. Il fatto è  che sia stato, quello di domenica  è stato, sì, un voto antisistema, anti-partiti, ma anche anti-Renzi. Lo conferma il flop del Pd che, ad esempio, a Roma riesce a malapena ad andare al ballottaggio, ma lontano dalla candidata grillina e grazie al voto disgiunto che ha consentito a Giachetti di superare la Meloni con oltre il 245, mentre il Pd è crollato al 17%, mica uno scherzo, mentre a Napoli non va nemmeno al ballottaggio, nonostante i voti di Verdini, a Torino è insidiato dalla grillina e chissà come andrà a finire quando tutti davano Fassino vincente al primo turno così come avrebbe dovuto essere per Sala a Milano, dove, invece, è pressoché alla pari con il candidato del centro-destra Parisi in grande spolvero.

Potremmo continuare negli esempi che dimostrano, considerando anche gli astenuti, i voti bianchi e quelli nulli, come sia verificato un vero terremoto politico che era prevedibile perché la fiducia dei cittadini negli attuali partiti è scesa, da tempo, tra il 3 e il 7%. Negli anni scorsi questo dato è stato spesso sottolineato  questo scollamento tra gli italiani e i partiti, purtroppo, questa evidenza è rimasta inascoltata inascoltata, che si doveva uscire da un bipolarismo inconcludente, spesso autoreferenziale, per determinare un profondo cambiamento in linea con quello che si stava delineando a livello globale. L’apparire sulla scena dei grillini, il loro attingere, per davvero, alla società civile, talvolta forse anche esagerando, veniva, invece, sottovalutata dal centrodestra e dal centro-sinistra quasi considerando l’iniziativa politico-sociale di Grillo la boutade di un comico di successo, di un istrione un po’ populista ed un po’ utopico, ma nulla più, anche se talvolta diceva cose che molti apprezzavano.

Ora tutti questi politici dovranno prendere atto della nuova realtà e fare un esame di coscienza sul fatto che sono, ancora, legati ad un parlamento eletto con una legge che la Suprema Corte ha giudicato incostituzionale, mentre alla Camera una maggioranza bulgara non costituzionale, perché frutto di quella legge, cambia oltre 50 articoli della Costituzione e al Senato il governo sopravvive per i transfughi da partiti di opposizioni e per chi non intende lasciare i posti di potere ottenuti.

I risultati di questo parziale turno amministrativo ci dicono, infatti, che la contestazione ad un sistema superato da tempo, che non si rinnova con presunte riforme o provvedimenti governativi per cercare un voto in più che, poi, nemmeno viene, sta giungendo a livelli sempre più alti. Roma, la capitale, dove i grillini si affermano in molti municipi, è solo la punta di un iceberg che rischia di travolgere gli attuali partiti se non volteranno pagina con urgenza. Virginia Raggi, in posizione come sindaco di Roma, ha  detto: “Il vento sta cambiando”. Ed un Grillo, ovviamente euforico, ha  commentato: “Ora cambiamo tutto”.

Credo che anche il Movimento “5 Stelle” debba stare attento ad un eccesso di euforia sia perché una buona parte dei suoi suffragi non sono ancora a favore, ma solo contro gli attuali partiti ed un sistema che non funziona più. Sia perché stare all’opposizione, oltretutto senza volersi “sporcare le mani”, alleandosi con altri, è più comodo che governare a partire da una metropoli come la Capitale d’Italia.

Mi si lasci concludere ancora con la mia Terra: vorrei dire al mio Amico Antonio ed a tutti quelli che hanno sperato in una svolta identitaria, di non mollare. Una incomprensione non vuole dire, sconfitta totale. Si è persa una battaglia di una guerra giusta, quella di Olbia è stata una prova generale che ha visto uniti tanti gruppi identitari indirizzarsi verso un unico scopo: la Sardegna.

Passato il momento di delusione/sconforto, bisogna andare avanti con forza per non perdere quello slancio unitario che ha voluto essere quel risultato, seppur minimo, ma, pieno di grande significato.

Così non va: troppe le tasse, tassine e accisse. Votiamo Sardegna

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In altri tempi avrei detto: “Ancora un giorno…poi si vota e tutto finisce e torna alla normalità”. E’ vero, oggi siamo all’antivigilia di un importantissimo voto amministrativo che vede impegnati i più grandi comuni del Paese, quasi tutti disastrati da buche, residue alluvionali, piccola e grande delinquenza, rom, immigrati, clandestini, malaffare, povertà e, chi più ne ha più ne metta. Ma tutto si svolge nella quasi indifferenza degli elettori i quali ormai si limitano a scuotere la testa.

I vertici nazionali di secondo livello (si, di primo livello ce n’è solo uno), starnazzano nell’aia televisiva al primo canto del gallo, anche lui onnipresente su canali ed onde radio, a dirci, accattivante, che lui è bello, buono, bravo e, principalmente, unico: a quel punto, con uno scrollone, tutto studiato. tenta di far la ruota, si gonfia, lui crede di essere pavone ed invece, per tanto popolo italiano, rimane solo un tacchino.

Tutto va bene “madama la Marchesa” urlano tutti in coro gli “scherani”, tutti a sbracciarsi, dicendo: abbiamo (attenzione è solo un plurale maiestatis) diminuito le tasse, mettendo in conto anche quegli 80 euro che gli consentirono in tempi recenti, di superare il 40% nelle “europee”. Tutti in coro, inoltre, a sostenere che la nostra repubblichetta è in ripresa, che il governo sta cambiando tutto in positivo. Poi, noi sudditi, ci  accorgiamo che le cose non stanno proprio così, la disoccupazione è risalita in aprile, la produzione industriale è giù, siamo, di fatto, in stagnazione perché i consumi sono pressoché fermi se addirittura non diminuiscono, inoltre i dati Istat non ci rassicurano con i cinque milioni di italiani in povertà assoluta, tra questi un milione e mezzo di bambini.

Poi ecco la tegola probabilmente per un altro milione e mezzo di italiani che debbono restituire, in un unica soluzione e non a rate come li hanno ricevuti, quei famosi 80 euro. Responsabilità del Ministero dell’Economia che  nel valutare, nel 2014. gli aventi diritto al bonus, ossia con un reddito non superiore ai 26 mila annui, s’era riferito alle dichiarazioni dei redditi di tre anni prima, ma, in tre anni, le situazioni patrimoniali possono cambiare e, quindi, non pochi avevano già superato la soglia prevista, mentre altri non hanno  egualmente diritto  per gli errori nella dichiarazione dei redditi in parte presenti anche in quella  precompilata inviata dal fisco.

Poi gli italiani, proprio in questi giorni, si vedono recapitare le  bollette per i consumi di energia elettrica e gas, e per noi, poveri sardignoli, anche quella di Abbanoa, accorgendosi, anche sulle sollecitazioni dei mass media, che i consumi reali  sono meno della metà di quanto si deve pagare  a causa di tasse, tassine, concessioni ai produttori di energia, conguagli immaginari e quant’altro si possa immaginare . Faccio un esempio che meglio di tante parole dimostra come siamo vessati proprio dallo Stato e, sempre per noi poveri sardignoli, da una regione nemica acerrima dei sardi. Un amico, infatti, mi ha fatto vedere la bolletta dell’Enel appena giuntagli per aprile-maggio: 62,34 euro . Ebbene le “spese per la materia energia”, ossia i consumi reali è del 15,04 euro, spese per il trasporto,28,34 euro, spese per oneri di sistema10,51 euro, aggiungete le voce totale imposte e iva euro 8,55 ed avrete quella bolletta anzidetta. Ora,ditemi voi se è giustificata.  Tutto questo alla faccia della trasparenza e della chiarezza. Ma Lui, il tacchino, intanto si pavoneggia. Per noi sardignoli mi/vi risparmio Abbanoa.

Ora,vi pare possibile che un governo votato al cambiamento non  operi per risolvere questa  grave  anomalia  che costringe i cittadini a pagare di più l’energia per rimborsare, ad esempio, il 50%  dei consumi alle acciaierie, comprese quelle che hanno inquinato, vedere Taranto, o  dare finanziamenti alle   “rinnovabili”? Questo fa il paio con le accisse  che gravano sul prezzo della benzina, dove stiamo ancora pagando dazio per la guerra d’Abissinia o la frana del Vajont? Alla faccia del cambiamento!

Queste sono imposizioni  per sudditi non per cittadini e chi dichiara di voler cambiare l’Italia dovrebbe iniziare anche da queste palesi ingiustizie, altrimenti perde di credibilità, come dimostrano i sondaggi in calo per   il Pd ed il premier, il quale è convinto di stare al governo, dopo ovviamente  aver vinto il referendum costituzionale ed  una  successiva elezione politica , sino al 2023 . Fossi in lui non mostrerei tanta sicurezza dinnanzi ad una situazione economico-sociale  che rende difficile  a molte famiglie di giungere a fine-mese , mentre per 3 milioni di esse non esiste nemmeno un inizio-mese come certifica l’Istat.

Anche le previsioni elettorali per  le grandi città dove si voterà domenica non  dovrebbero indurre il segretario-premier all’ottimismo, nonostante ora si  spenda in giro per l’Italia a sostegno dei propri candidati-sindaco . Questo anche perché sembra proprio, per lui, “piove sul bagnato” come dice un vecchio adagio toscano. Sì, perché la faccenda del milione e mezzo di italiani che deve restituire i famosi 80 euro, le bollette energetiche in arrivo e tali da provocare solo ira negli utenti per i motivi prima esposti, la disoccupazione in aumento e l’eccessivo ottimismo dei renziani per le tante riforme fatte, ma solo una netta minoranza valuta prioritaria quella costituzionale, sono tutti fattori negativi. Mettete in conto, inoltre, anche la sfortuna, a Milano, di un semi-nubifragio che ha messo in evidenza l’imprevidenza della giunta presieduta da Pisapia che, ora, appoggia il candidato sindaco scelto dal Pd aggiunge un altro elemento al  possibile “piove sul bagnato.” Ovviamente, il voto di domenica può cambiare qualsiasi previsione  soprattutto se, come è sperabile, la maggioranza dei cittadini si recherà alle urne. Di certo, c’è un Silvio Berlusconi in grande spolvero, convinto, forse, di vincere il braccio di ferro con  Salvini, sempre più proiettato verso l’estrema destra europea  e sempre più lontano  dagli altri big leghisti Maroni e Zaia. Ma a noi sardignoli cosa ci frega di tutti questi? Noi dovremmo solo votare per a nostra Sardegna, per perdere quello “gnoli” che vogliono appiopparci, noi dovremmo votare per la nostra terra, dimostrare a tutti che siamo un “popolo” che merita rispetto, che siamo capaci di esprimere uomini e donne che ragionano con la propria testa, che hanno rispetto per il loro territorio e per la loro gente, che hanno voglia di libertà fuori da schemi imposti. Uniti, diciamolo come ci pare, uniti, UNIDOS, diciamo Sardegna, il resto buttiamolo a mare.