Macchè Rai servizio pubblico, non lo è sia per gli stipendi dei suoi dirigenti, sia per un’occupazione politica di parte, leggere renziana, mai avvenuta in passato nelle attuali dimensioni. Questa è una vera dimostrazione di antidemocrazia, una vera presa di potere.
Spiace che una brava professionista come la presidente Monica Maggiori ed un esperto di televisione come il superdirettore generale (super pagato) Antonio Campo Dell’Orto abbiano voluto portare avanti un’operazione tesa ad inserire nei telegiornali e giornali radio direttori in linea con il segretario-premier, confermando al TG1 Mario Orfeo che, da tempo, ha trasformato questa testata in un organo governativo al punto che, ad esempio, ha dedicato il 60% al sì per il referendum costituzionale e, di fatto, ignorando, come avvenuto di recente a Taranto, le contestazioni al premier e le critiche rivoltegli dal presidente della Puglia, oltretutto uno dei big del PD.
Le nomine varate nei giorni scorsi, a maggioranza, dal cda della Rai (6 favorevoli, 3 contrari) hanno provocato sia la dura reazione della Federazione della Stampa e dell’Usigrai, sia di tutte le opposizioni parlamentari, sia una spaccatura tra gli stessi democratici con le dimissioni di due senatori della sinistra interna dalla commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai.
E lui, Renzi, va a piangere sul tricolore a Rio con famiglia e fedelissimi al seguito, ovviamente con l’aereo di Stato.
Pensare che la vera e propria epurazione dei direttori non allineati ha coinvolto addirittura il Tg3 che, come è stato notato, nemmeno Berlusconi aveva voluto “normalizzare” e che aveva, con la Berlinguer, una direzione autorevole e, nella sostanza, pluralista.
Durissima, come accennato, la reazione del sindacato nazionale dei giornalisti e dell’Usigrai che in una dichiarazione congiunta parlano di “occupazione di poltrone e pura lottizzazione” e attaccano la presidente, il direttore generale ed i “governativi del cda” da oggi si è svelto pubblicamente il bluff di chi, al vertice dell’azienda e nel consiglio di amministrazione è arrivato come sedicente innovatore e si è rivelato per quel che è: conservatore, reazionario come nei momenti più bui della Prima Repubblica.”
Anche nel Pd – come scrive “Repubblica” – “restano macerie” “Bersani ha bocciato l’operazione, parlando di “vecchi vizi, questo non può essere il volto del Pd”, Gianni Cuperlo “parla di brutta pagina” e Speranza “è lottizzazione”. Come se non bastasse due esponenti della minoranza dem in commissione parlamentare di indirizzo sulla Rai, i bersaniani Miguel Gotor e Federico Fornaro, si sono dimessi per protesta, sottolineando che si è in presenza “unicamente a logiche di normalizzazione di occupazione governativa del servizio pubblico in forme per molti versi inedite ed in contrasto con il principio costituzionale del pluralismo culturale e politico.”
Persino un renziano come il vice-segretario Lorenzo Guerini ha risposto imbarazzato ai giornalisti che gli chiedevano un commento sulle nomine Rai: “Le nomine Rai? Chiedete al governo”.
Vi risparmio le dichiarazioni degli esponenti dell’opposizione parlamentare. C’è solo da aggiungere che i forzisti Gasparri e Brunetta se la sono presa con il presidente della commissione parlamentare, il grillino Fico perché non aveva messo in votazione un odg del dem Fornaro, condiviso da tutte le opposizioni, quindi 5Stelle compresi, per invitare il cda Rai a soprassedere al varo del “piano new”, quindi anche delle nomine, prima di aver ricevuto un atto di indirizzo della commissione stessa.
Non sarà facile per i nuovi direttori, al di là della loro professionalità, affrontare le assemblee dei rispettive redattori. La presa di posizione del sindacato interno dei giornalisti in unicum con quello nazionale fa presagire battaglia anche per l’attacco, inusitato nella sua formulazione, alla dirigenza dell’azienda. Siamo, di fatto, ad uno scontro mai verificato in Rai anche nei tempi della più dura contrapposizione politica. E’, soprattutto, la vicenda del Tg3 a tenere banco, ma ci sono anche i compensi nettamente superiori a quei 240 mila euro all’anno stabiliti per il settore pubblico.
E’ vero che la Rai è una strana azienda nel senso che ha il canone, ma anche la pubblicità e, quindi, deve stare sul mercato, considerando anche la media di quanto offrono ai propri dirigenti le tv concorrenti. E’ anche vero, però, che 650 mila euro per il superdg, scelto dal governo, appaiono eccessivi e che esistono troppi ex-direttori e dirigenti ben pagati e, di fatto, senza troppi impegni interni. Ed è vero, inoltre, che andando avanti di questo passo c’è da chiedersi: ma, la Rai è ancora un servizio pubblico? Ho, onestamente, qualche dubbio e con un governo che abbia, come accade spesso ed in maggior misura oggi, la tentazione di mettere le mani sull’azienda, perché alla non lontana scadenza della convenzione con lo Stato non si dovrebbe tener conto di altre eventuali candidature, mettiamo, ad esempio, quella de La7?
La verità è che, da tempo, esiste il problema di una radicale riforma della Rai che la sottragga alle tentazioni dei partiti e dei governi dando voce agli abbonati ed ai dipendenti anche nel cda. E, soprattutto, scindendo le reti finanziate con la pubblicità da quelle sostenute dal canone e,dunque, veramente di servizio pubblico senza, cioè, l’assillo dell’audience .
Sarà possibile, un giorno, arrivare a questo? Auguriamocelo, molto,però, dipenderà da tutti noi, dal nostro voto per evitare di assistere – come hanno detto Usigrai e Federstampa – a presunti innovatori che fanno i reazionari per compiacere il potente di turno. Che, guardacaso è il nostro fantomatico segretario-premier
giustus