Con l’ultimo schiaffo ricevuto anche da Gentiloni, suo sodale principale, a Matteo Renzi rimangono poche alternative. Ieri l’uscita del Presidente Grasso dal Partito Democratico, oggi il Premier e Mattarella che, a dispetto dei santi, confermano Visco al governatorato della Banca d’Italia, una legge elettorale che, a dire dei più, fa semplicemente pena, per Mario Segni, addirittura una “schifezza” –altro che legge truffa di antica memoria-, lo stretto sentiero percorso da Matteo Renzi è al bivio, sfiduciare il Governo o dimettersi da segretario del Partito. Compiere uno dei due gesti è un atto di grande coraggio oltre che di sana e logica coerenza.
La cronaca: nei giorni scorsi, mentre si discuteva la nuova legge elettorale, il cosiddetto “Rosatellum”, all’improvviso, il segretario del PD faceva votare alla Camera una mozione nella quale si diceva che il PD si dissociava, anzi, era contrario alla riconferma di Visco a Governatore della Banca d’Italia. Fulmini e saette, insorgevano, sotto traccia, i poteri forti, Mattarella, Bersani, qualche ministro e, tiepidamente si smarcava il Premier che, poi, si venne a sapere dallo stesso Renzi che della cosa era stato informato e, addirittura, oltre ad esserne consapevole, aveva apportato delle modifiche al documento. Ovviamente non poteva mancare la presa di posizione di Boldrini e Grasso, entrambi inneggianti all’autonomia dell’Istituto di controllo del sistema bancario. Mi permetterei un appunto su questo argomento: se la Banca d’Italia non batte più moneta, i controlli li fa all’acqua di rose, visto che gli stipendi che paga ai suoi dipendenti che fanno impallidire anche quelli dei parlamentari, cosa ci sta a fare?
Chiuso l’inciso. Tornando all’argomento, Matteo, insiste assumendo la responsabilità diretta della mozione coinvolgendo il Partito, a quel punto c’è l’immediata presa di distanza del ministro Orlando, anche se in maniera leggermente più tenue, anche Franceschini rimane tiepido, insomma è il primo segno dell’ulteriore spaccatura. L’unica voce che pone qualche dubbio sulla persona Visco arriva da silvio Berlusconi che, debolmente, conferma l’assenza dei compiti di Istituto, cioè di controllo che sarebbero dovuti essere espletati e che sono arrivati con estremo ritardo, quando i buoi erano scappati.
Intanto la legge elettorale prosegue il suo cammino al Senato dove la situazione per la maggioranza di governo è sempre stata in bilico, allora, al fine di evitare sorprese, come aveva fatto alla Camera (si diceva per accelerare i tempi) fece mettere la fiducia al Governo che, in effetti, sulla legge elettorale non c’entrava nulla. Gentiloni, pur con qualche mugugno si è prestato al gioco della linea di Renzi. Già alla Camera erano insorti i pentastellati con tutta la sinistra e, tanto per non farsi mancare nulla, anche la destra della Meloni si teneva fuori a differenza di Berlusconi, Salvini e i loro arcipelagi, quindi, al Senato, a maggior ragione si votano tutti gli articoli con la fiducia del Governo, così in due giorni si arriva, grazie ai voti di Verdini, alla votazione finale dove a parare i colpi vi erano dichiaratamente Forza Italia, Lega e gli altri, la legge elettorale, battezzata Rosatellum ottiene la sospirata approvazione. A quel punto, le dimissioni del Presidente Grasso dal PD per passare al Gruppo Misto del Senato.
La decisione della seconda carica dello Stato, era cosa che maturava da tempi lontani, bisogna risalire alla primavera scorsa, ma anche prima, il “ragazzo di sinistra”, come ama definirsi, mal sopportava quella spaccatura che si stava giorno per giorno determinando con la sinistra del partito e che Renzi non faceva nulla per ricucire. Il segretario del PD ha mal digerito la sconfitta del referendum che riteneva scontato e che invece è stato il motivo del suo declino voluto con veemenza da quella sinistra che gli ha sempre rimproverato di spostare l’asse del Partito verso destra, di avere degli accordi sotterranei con Berlusconi, attacchi sfociati poi nella spaccatura e, addirittura, a lasciare il PD per costituirsi come Gruppo rappresentante l’ala moderata del vecchio PCI.
Certo è che la decisone di Grasso a lasciare il PD, per coerenza, non dovrebbe fermarsi, la Presidenza del Senato gli è stata data da quel Partito che ha abbandonato per protesta, di conseguenza, quando ha compiuto quel gesto avrebbe dovuto proseguire nelle azioni e lasciare anche l’incarico istituzionale, almeno così si usava una volta quando a far politica vi erano altri uomini, ora i costumi sono cambiati e, magari mostrando una faccia che somiglia più al bronzo che ad una di quelle dove cresce notoriamente la barba, magari accampando scuse di carattere istituzionale, scuse che tutto coprono, si va avanti madama la marchesa.
Certo se Grasso lasciasse la Presidenza del Senato, lo scombussolamento sarebbe tale da coinvolgere anche Gentiloni con il suo Governo, cosa sicuramente gradita a Renzi che si vedrebbe togliere le castagne dal fuoco evitandogli di essere lui a far cadere questo governicchio che gli ha rotto le uova nel paniere con la vicenda Visco e che ha concluso essendo lui stesso a proporlo per il reincarico.
Una confusione difficilmente sanabile, ormai con la legge elettorale definita, andare al voto è auspicato da tutti e dopo quest’ultimo schiaffo sarà difficile contenere Renzi dalla tentazione di essere lui a togliere quella fiducia della quale il Governo non può fare a meno.
Gentiloni, nel Consiglio dei Ministri che ha decretato la riconferma di Visco, ha dovuto registrare, guarda caso, l’assenza dei ministri fedelissimi a Renzi, ma vi è di più, era assente il vice segretario del PD Martina, e questo la dice lunga, sarebbe dovuto essere un sintomo inequivocabile per il Premier, per prenderne atto e andare da Mattarella e porgere con una mano il decreto di proposta di nomina per Visco e nell’altra le dimissioni che il Presidente nel pieno dei suoi poteri avrebbe potuto respingere con l’incarico di tornare alle camere per chiedere la fiducia. Ma, come scrivevo pocanzi, così si faceva quando a far politica vi erano Uomini con la U maiuscola.