FORT GRAZIOLI – “QUI VOGLIONO TOGLIERMI TUTTO” – LETTA LO RINCUORA, GHEDINI PESSIMISTA – SENZA IL LODO ALFANO CONDANNA IMMEDIATA SUL CASO MILLS E AVVISI DI GARANZIA A GO-GO – Fini si è chiamato definitivamente fuori da ogni ipotesi di governo tecnico – DIMISSIONI? NESSUN NOME PER IL MANDATO ESPLORATIVO, SI VA ALLE URNE…
Tommaso Labate per “Il Riformista”
Chi ha avuto modo di sentirlo giura che alterna momenti di speranza a momenti di autentico sconforto. E che in certi istanti lui, Silvio Berlusconi, non sappia nemmeno scegliere un santo a cui votarsi. Come ieri mattina, quando all’ennesimo consulto con Gianni Letta e Niccolò Ghedini sul possibile destino che attende il lodo Alfano, l’eminenza azzurra abbia risposto in un modo e l’avvocato in quello uguale e contrario. Come andrà a finire? Andrà tutto bene, come sostiene Letta? O il lodo verrà bocciato, come va dicendo Ghedini?
Di certo c’è che al Cavaliere, forse per la prima volta dal 1995, è tornata una preoccupazione: «Non si tratta solo del governo. Qua vogliono togliermi tutto». Tutto, televisioni comprese. «È possibile che siamo alla battaglia finale», ripete il presidente del Consiglio alla fine dei tempi regolamentari di una partita in cui, aggiungono i suoi, «si agitano gruppi di potere pronti a tutto».
La grande preoccupazione del Cavaliere riguarda uno scenario già pericoloso, quello in cui la Corte è chiamata alla sentenza sulla norma blocca processi, reso ancor più «tetro» da due segnali. Il primo si è manifestato giovedì mattina, quando soltanto le assenze dell’opposizione hanno evitato che lo scudo fiscale di Tremonti venisse annientato dal voto di Montecitorio. Il secondo è arrivato sabato, con la sentenza di primo grado che ha condannato Fininvest a risarcire Cir (750 milioni) per la faccenda del Lodo Mondadori.
Sul primo segnale Berlusconi, a dispetto dei consiglieri che l’avevano messo in guardia rispetto a «una trappola costruita tra i banchi della maggioranza», aveva risposto con un’alzata di spalle, salutando comunque il buon esito dell’operazione (approvazione della Camera e immediata firma di Giorgio Napolitano). Sul secondo, invece, anche l’ottimismo del premier – «un corruttore», secondo la sentenza della decima sezione civile del Tribunale di Milano – ha dovuto capitolare.
Chiuso nella villa di Arcore, ieri, il Cavaliere ha dettato la controffensiva. «Sono letteralmente allibito: è una sentenza al di là del bene e del male. È certamente un’enormità giuridica», ha fatto sapere tramite una nota. «Un tentativo, con mezzi impropri, di contrastare la volontà democratica del popolo italiano», avevano scritto poco prima i vertici dei gruppi parlamentari del Pdl, compreso il finiano Italo Bocchino. Il tutto, per chiudere il cerchio, alla vigilia della sentenza della Consulta sul lodo Alfano.
E pensare che Berlusconi, nell’attesa della camera di consiglio dei giudici costituzionali, era convinto di aver fatto tutto il possibile per evitare un clima ostile. Come riassume un suo stretto collaboratore, «il presidente ha frenato sia il ddl sulle intercettazioni che la riforma della giustizia, per ristabilire un clima di armonia istituzionale col Quirinale»; poi, «ha incontrato Fini a casa di Gianni Letta, bloccando quell’atmosfera da guerra permanente che si respirava negli ultimi tempi».
Due operazioni andate a buon fine, non a caso gestite con la diplomazia delle «colombe» e non con le scorribande dei «falchi».
Il risultato? Gianfranco Fini si è chiamato definitivamente fuori da ogni ipotesi di governo tecnico. «Nel nostro sistema – ha spiegato ieri il presidente della Camera – la maggioranza è quella che esce dalle urne. Non a caso gli elettori che hanno votato nelle ultime politiche hanno trovato sulla scheda il nome del candidato premier». Un intervento che il Cavaliere ha apprezzato tantissimo, segretamente convinto com’era (ed è) che «l’unico esecutivo che può sperare di avere una maggioranza in Parlamento, oltre a me, è Gianfranco».
Scongiurata l’ipotesi Fini, cosa succederebbe se la Consulta bocciasse il lodo? «Sappiano comunque tutti gli oppositori che il governo porterà a termine la sua missione quinquennale e non c’è nulla che potrà farci tradire il mandato che gli italiani ci hanno conferito», è stata la risposta che ha dato ieri Berlusconi. Come lui stesso però confessa in privato, le elezioni anticipate possono rappresentare l’unica ancora di salvezza di un premier orfano del blocca processi.
Come spiegano nella war room di palazzo Grazioli, «se la Consulta cancella il lodo, il premier non solo sarebbe immediatamente condannato per l’affare Mills, ma si troverebbe immediatamente impelagato in una marea di avvisi di garanzia. Perché – proseguono i berluscones – ci sono procure che non aspettano altro che il via libera».
In questo caso, «il premier rimetterebbe il mandato nelle mani di Napolitano che però non avrebbe neanche il nome per il mandato esplorativo». Con buona pace di Confindustria, che ieri con il presidente Marcegaglia s’è espressa contro «il ricorso a elezioni anticipate».
Morale? Senza blocca-processi, la legislatura è al canto del cigno. Se invece la Consulta si limita ad «alcune osservazioni», raccomandando al Parlamento di intervenire in più punti sul lodo, lo scenario cambierebbe. Certo, in quest’ultimo caso il premier rischierebbe di finire ostaggio della sua maggioranza, dovrebbe cedere alla Lega i governatori del Nord e rendere il Pdl davvero collegiale. Ma, almeno per il momento, scaccerebbe la sua preoccupazione più grande. Quella che gli «tolgano tutto». Non solo il governo. «Tutto».