BERSANI INSISTE E GRILLO CONFERMA IL NO. I vecchi metodi non pagano più

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Credo non sia sfuggito a nessuno lo stato di crisi perdurante nel nostro Paese, frutto di una nostra antica eredità consolidata dalla disastrosa politica economica pan germanica messa in pratica da Monti. Cosa ci aspetta a brevissimo termine? Una pioggia di nuove tasse: cioè una ventina di miliardi, forse più che meno.

Ad aggravare ulteriormente questa situazione  ci sta pensando quel signore che dice di aver vinto le elezioni ma non è in grado di governare: si tratta di quel Pierluigi Bersani che incoscientemente si è abbarbicato al tralcio della vecchia politica, sostenendo gli interessi di bottega più che quelli degli italiani. In questo vecchio metodo viene spalleggiato da gran parte del Pd, “giovani turchi” compresi, incapaci di leggere la realtà. Mettete in conto anche un Monti, sempre più allo sbando, convinto che solo le elezioni anticipate e un’alleanza con il Pd possa rilanciarlo in orbita, magari contrattando, per il momento, la presidenza del Senato. Vecchi giochetti e vecchie illusioni alle spalle di un Paese ormai allo stremo.

In tutto questo non  si tengono in conto tre importanti fattori. Il primo: i grillini che aumentano i consensi, crescendo nel Paese gli anti-partito visto che quelli esistenti non sarebbero riusciti a dare un governo. Il secondo: siamo proprio sicuri che i pm d’assalto  riusciranno a mettere fuori scena Silvio Berlusconi che secondo recenti sondaggi  potrebbe addirittura far diventare il centro-destra il primo partito alla Camera, sempre se rimasse l’attuale obbrobrio di legge, cosa possibilissima se non si riuscisse a formare un gverno. Il terzo e più importante: se  si arrivasse all’elezione del Capo dello Stato dal 15 aprile a Camere riunite senza un nuovo governo è proprio fantapolitica ritenere che, con un po di buon senso, i parlamentari decidessero di rivotare proprio il riluttante Giorgio Napolitano? Una rielezione di Napolitano, non solo per il Paese ma anche nei confronti dei tanti osservatori, rappresenterebbe “un punto fermo”, un “riferimento certo” in una crisi politica difficilissima. Sarebbe lui “a decidere quando verrà il momento, anche dopo pochi mesi, di dimettersi”. Ovviamente dopo aver dato al Paese un governo, ossia “il governo del Presidente” per assumere provvedimenti d’urgenza per dare respiro alle famiglie italiane, cambiare la legge elettorale, fare alcune riforme indilazionabili comprese quelle della politica, ossia taglio dei parlamentari, dei consiglieri regionali, delle provincie, trasformazione del Senato per evitare l’attuale doppia lettura delle leggi.

Per il momento tutto questo pare solo un sogno perché l’insistenza di Bersani a pretendere l’incarico di formare il governo rischia di far saltare il banco. Perchè esclude qualsiasi piano B (ossia un governo diverso) con un “o io o il diluvio” delle lezioni anticipate. Così il segretario del Pd si è trovato  in rotta di collisione con il Capo dello Stato che giustamente parla di nebbie in Val Politica. Lo è anche, all’interno dei democratici, con Matteo Renzi che  è uscito dal suo riserbo, parlando in TV nella trasmissione di Fazio e non in direzione. Lui avrebbe preferito “ascoltare i parlamentari neoeletti invece della riunione dello stesso organismo di quattro anni fa”: “Io – ha significativamente detto – sono abbastanza allergico alle formazioni politiche tradizionali. Sono per un partito bello , una comunità di persone, non un partito che fa le riunioni come fossero terapie di gruppo.”

Se non è, questa, una dura critica agli attuali big del partito ditemi voi cos’è. E se aggiungete la sua ironia sull’inseguimento ai parlamentari grillini (“spero che lo scilipitismo non diventi una caccia al grillino”), il nono punto – abolizione del finanziamento pubblico- aggiunto agli otto bersaniani, le nuove primarie per scegliere il premier se Bersani non ce la farà(“io non sono molto ottimista”) ed avrete la prova che nel Pd ormai c’è l’alternativa all’attuale classe dirigente. Che non intende affatto mollare. Prima un’intervista anti-renziana dai toni durissimi del braccio destro di Bersani, il sinistrorso responsabile economico  Fassina (“Renzi mostra scarso rispetto per la comunità di cui fa parte e cavalca spregiudicatamente l’antipolitica, provando a ridicolizzare il Pd in una situazione certamente difficile”); poi un comunicato ufficiale per  dire che il tema del finanziamento pubblico c’è negli otto punti. Infine l’accusa di qualche bersaniano di inseguire i grillini sul loro terreno , sposando la tesi di abolire il finanziamento pubblico, dimenticando – questi critici – che Renzi il tema l’aveva inserito nel programma delle primarie.

Non v’ha dubbio che l’attuale classe dirigente democratica ha il fiato corto e se perde Bersani  perderanno anche loro, spazzati via dal nuovo. Da qui una strenua quanto probabilmente inutile difesa. Perché nel fortino PD aumentano le crepe e oltre agli ex-popolari  anche qualche big, in primis Veltroni, vede in Renzi un vero leader capace di guidare il partito fuori dalle secche bersaniane o per meglio dire ex-Pci.

La partita interna, in sostanza, è aperta. Quella del governo cozza, invece, contro il muro dei 5 Stelle. Appelli di intellettuali di sinistra, mediatori, offerte di posti ad iniziare dalla presidenza del Senato, contatti con singoli parlamentari, qualcuno parla di tentativi (per ora clamorosamente falliti) di nuova compravendita, roboanti dichiarazioni, ora mielose, ora minacciose, di Bersani  tutto pare inutile. Grillo s’è proprio scocciato e reagisce duramente .dicendo che se il Movimento aprisse a Bersani lui lascerebbe la politica. Stessa battuta del guru  Casaleggio. E a dare una mano ai due ecco un premio Nobel per la letteratura, ossia un’icona della sinistra come Dario Fo: “Le strade sono due: o il governo si affida ai 5 Stelle o si torna a votare. E perderanno”.

A tagliar corto su voci e speranze bersaniane anche i due capigruppo grillini; nessuno ha proposto un’alleanza con il Pd e sul web coloro che la sostengono – e sono una minoranza- sono elettori del Pd, non dei 5 Stelle. Un vero e proprio de profundis, quindi, per chi continua a ritenere possibile un voto di fiducia a Bersani presidente del Consiglio. Un’insistenza questa che rischia di portare solo al disastro. A meno che il Parlamento eviti l’”intasamento” istituzionale e , dando ascolto al direttore del “Corriere della Sera” , non rielegga al Quirinale Giorgio Napolitano che potrebbe sbrogliare l’ingarbugliata matassa politica con un governo del Presidente, formato da altissime personalità, e a missione compiuta andarsene a casa come vorrebbe fare il 15 aprile. A 87 anni è comprensibile, ma il sacrificio, utile al Paese, sarebbe di breve durata, magari per lasciare il posto, mettiamo, ad uno scienziato, non ad un politico di antico o recente corso.

 

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