Tutto secondo programma. Renzi lascia ‘uscire’ le minoranze, si dimette perché si debba convocare il congresso e le primarie; il Governo almeno sino ad ottobre rimane in vita, saranno proprio i fuoriusciti a dargli ossigeno necessario; Berlusconi sistema le sue cose, personali e di partito, lancia il governatore del Veneto Zaia con la candidatura a Premier del Centro-destra; Salvini, con buona pace di tutti, manterrà la sua linea di “Noi con Salvini” collocandosi all’estrema destra, forse, con la Giorgia Meloni e pochi altri; nel 2018 si avvererà il sogno dei due leaders Berlusconi e Renzi, con il Partito della Nazione in salsa B&R.
Dopo questa tirata di fanta-politica (poco fantasia e molto neopolitica) passiamo all’esame degli accadimenti di questi giorni.
Gli oppositori di Renzi vogliono la scissione che a lui non dispiace. Tutto ora è giocato sull’evitare il cerino in mano di una rottura che appare incomprensibile come ha detto Franceschini. Che, con scarsa fortuna e, forse, senza grande convinzione, continua a mediare insieme a Martina, Zingaretti e Fassino. Il fatto è che tutto pare già scritto perché la minoranza del Pd insiste su questioni che appaiono di lana caprina e non dice chiaro e tondo che non intende stare in un partito che vedrà certamente di nuovo l’ex-sindaco di Firenze segretario. Il vero problema è tutto qui, con la sua consueta chiarezza l’ha fatto capire il governatore della Puglia Michele Emiliano, candidato alla segreteria, ma già con le valigie come gli altri due candidati Enrico Rossi, governatore della Toscana, e il bersaniano Roberto Speranza. Ossia i tre che hanno promosso per sabato, proprio alla vigilia dell’Assemblea dove tutto si deciderà, la riunione degli anti-renziani per stabilire il da farsi come, ad esempio, un ultimo appello come quello di Pierluigi Bersani: “bloccate Renzi o tutto è perduto” già caduto, per ora, nel vuoto e con scarsissima possibilità di essere accolto, considerato che la maggioranza del Pd è blindata con renziani e franceschiniani e la sinistra di Martina anche se la quarta componente, quella dei “giovani turchi”, scriocchiola perché il presidente del partito Matteo Orfini, intransigente nei confronti degli ex-compagni d’un tempo, è stato messo in minoranza dal ministro Orlando che aveva assunto in direzione una posizione autonoma avendo intravisto la possibilità di una sua candidatura alla segreteria come mediazione tra le correnti. Ora, però, ha fatto marcia indietro ed è rapidamente rientrato nei ranghi della maggioranza con l’alibi della proposta franceschiniana di inserire nel congresso una parte di conferenza programmatica con le primarie il 7 maggio. visto anche che Renzi ha annunziato per il 10-12 marzo una grande conferenza del Pd per un confronto interno e per definire anche il programma relativo alle elezioni amministrative di giugno. Si terrà, significativamente, al Lingotto di Torino dove, nel 2007, Walter Vetroni annunziò, con una importante relazione, la sua candidatura alla guida dei dem, dando così vita al nuovo movimento politico.
Il tutto, ovviamente, ha consentito ai franceschiniani di sottolineare che non ci sarà, a giugno, il voto politico anticipato come non chiedeva la minoranza e come, invece, volevano i renziani che in realtà avevano già abbandonato quell’idea visto l’accordo con i berlusconiani per ottobre.
Dario Franceschini, nell’illustrare in una intervista i passi avanti compiuti nei confronti della minoranza e definendo, per questo, inconcepibile una scissione, dimostra, però, che il problema di una parte della sinistra del Pd è un altro. Lo dice con estrema chiarezza. Dopo aver polemicamente premesso che lui, da segretario uscente, aveva perso le primarie vinte da Bersani e, come impone la democrazia, aveva poi collaborato con il vincitore, ha detto: “c’è sempre stato un atteggiamento in quelli che hanno perso le primarie del 2013 di considerare Renzi un usurpatore.” E tanto per affondare il dito nella piaga ha aggiunto: “Ho visto, e non l’ho dimenticato, un pezzo del partito votare no alla fiducia posta da un governo guidato dal segretario del partito.”
Mi pare che siano dichiarazioni pesanti che sembrano prevedere una scissione già decisa dagli interessati e su questa linea sì è posto anche lo stesso Renzi che ha fatto un puntiglioso elenco di proposte fatte, poi rifiutate dalla minoranza in un secondo tempo rilanciate dagli stessi oppositori, quindi accettate dal segretario ed ora di nuovo rifiutate. Questo ad iniziare dal congresso anticipato. Leggete questa significativa frase: “voglio evitare qualsiasi divisione, ma se dopo che ho detto sì al congresso insistono con il discorso che vogliono la scissione…… non accetto ricatti.”
Poi un nuovo attacco a D’Alema: “di solito il suo obiettivo è distruggere il leader del suo partito se il capo non è lui.” Infine: “il dubbio è che vogliano la rottura,ma io rimango in campo con umiltà e tranquillità, ma anche con coraggio e determinazione, lanceremo le nostre idee ed i nostri sogni”.
Non mi pare, in sostanza, che esistano margini di manovra e nel “fermate Renzi” di Pierluigi Bersani traspare tutta l’inconciliabilità tra molti dirigenti ex-diesse e l’attuale leader del Pd che proviene da un’altra cultura, quella democratica cristiana, non a caso in una intervista odierna ha citato Giorgio La Pira che invitava i politici a guardare all’”ansia della povera gente”.