Nell’attesa dell’inizio delle votazioni per l’elezione del Presidente della Repubblica che avranno inizio domani 29 gennaio – scrivo al plurale in quanto è scontato, per decisione del partito di maggioranza, di votare scheda bianca, nelle prime tre votazioni dove è richiesta una maggioranza qualificata degli aventi diritto al voto-, per un esercizio mnemonico vorrei tornare ad alcune elezioni presidenziali che ho avuto il privilegio di vedere e seguire da vicino.
Eravamo nel 1971, alla scadenza del mandato settennale di Giuseppe Saragat, si doveva procedere alla nomina del nuovo Presidente. Nella Democrazia Cristiana, partito di maggioranza, si erano proposti i due cavalli di razza: quello che partiva, apparentemente, in vantaggio era Fanfani, secondo quanto dicevano allora le cronache politiche, avrebbe potuto contare sull’appoggio del PCI. Così non fu: una campagna stampa del Manifesto, di attacco al vertice del partito comunista fece cambiare posizione al Segretario Berlinguer che lo portò verso l’altro cavallo di razza, Aldo Moro. La battaglia fu quindi tutta in casa democristiana e non fu cosa di poco conto. Una parte della DC avrebbe voluto Fanfani che, secondo quello che poteva prevedersi allora, avrebbe fatto si di ottenere un recupero dei voti di destra persi con l’avvento del centro-sinistra, mentre veniva osteggiato Moro che, secondo il pensare dell’epoca, avrebbe fatto perdere ancora voti moderati, tanto più che una sua elezione, con l’appoggio di Berlinguer non poteva che far pensare ad un particolare attenzione della DC verso quel partito.
Con questo clima iniziarono le votazioni nell’aprile 1971 ed andarono avanti sino al 10 di maggio, giorno in cui fu eletto Giovanni Leone. In quei giorni – ricordo, avvenne di tutto, saltarono fuori i nomi più disparati ma la spaccatura all’interno della DC non permetteva che maggioranza fosse raggiunta.
Fu Giorgio La Malfa che, di fronte ad una Assemblea “impallata” vide in Leone, già Presidente della Camera, lontano da qualsiasi corrente di Partito, uomo di spiccato prestigio, colui che avrebbe potuto rappresentare il Paese e se ne fece sponsor e, con una buona parte della DC, alla ventriesima votazione, riuscìrono a raggiungere il quorum di 518 appena sufficiente per eleggerlo alla Presidenza con la minore percentuale mai raggiunta.
La elezione di Giovanni Leone, pur ricosciuto da tutti l’indiscusso valore della persona fu lungamente contestato perchè la sua elezione ebbe il voto determinante del Movimento Sociale Italiano di Almirante,raggiungendo di essere l’unico Presidente della Repubblica eletto con voti determinanti fascisti. L’on. Giancarlo Pajetta, comunista doc aggredì La Malfa durante un dibattito gettandogli un sacchetto di monete da dieci lire in segno di profondo disprezzo.
La presidenza Leone fu comunque lineare e corretta tanto da essere considerata “notarile”. Gli fu, comunque, imputato il coinvolgimento in alcuni noti scandali sui quali la Cederna scrisse un libro che rese difficile la difesa della DC, anzi fu chiesto allo stesso Presidente abbandonare in anticipo la carica, cosa che fece sei mesi prima della scadenza del mandato.
Solo poco dopo fu scagionato da ogni addebito con le scuse della stessa Cederna.
Sul Presidente Leone mi viene spontaneo raccontare un aneddotto personale.
In occasione delle feste natalizie, il Presidente del Gruppo Parlamentare DC, On Flaminio Piccoli, era uso fare gli auguri con una strenna di vini della sua provincia ad alcuni colleghi di partito e personalità di governo e delle Istituzioni, ad occuparsi della scelta dei vini e a provvedere agli invii era il sottoscritto. Non posso essere preciso sull’anno, potrebbe essere stato il 1975, come tutti gli anni. sottoposi al Presidente Piccoli la lista delle persone a cui dovevano essere inviati i vini con a lato il tipo di vino destinato al nome. Praticamente, la lista poteva avere qualche variazioni sui nomi ma, difficilmente sui vini. Per il Presidente della Repubblica era previsto, così come avveniva sin da quando era Presidente della Camera dei Deputati, gli si inviava dello spumante che, sapevamo, gradiva molto: la scelta era fatta, la lista era stata licenziata gli accordi con la cantina erano stati presi, pertanto inviai la lista coni vari indirizzi dei destinatari. Il mio compito era terminato.
Qualche giorno prima di Natale, un pomeriggio ricevo una chiamata dalla “Batteria Centrale” (si tratta del centralino riservato del Ministero degli Interni in uso alle istituzioni governative e politiche), rispondo, il centralinista mi annuncia: “C’è il Presidente Leone in linea”, Io: “le passo subito il Presidente Piccoli”. Il centralinista: “ No, vuole lei,: Mi ha chiesto di Tusacciu, vuole parlare con lei”. Io: “Ma, sta scerzando?”. Centralinista: “Non me lo permetterei mai. Vuole lei”. A quel punto la voce inconfondibile, con spiccato accento napoletano, del Presidente Leone: “Tu si Tusacciu? m’è stato detto che dovevo parlare con te (intanto io tremavo, pensavo “ cosa ho combinato?). Presidente “Ma che Flaminio quest’anno mi ha declassato?” -e li una risatella che ha alleggirito la tensione-.” No – rispondo io- cosa è successo perchè possa pensare questo?” Subito il Presidente “Voi lo sapete quando io tengo a bere lo spumante trentino che mi mandate tutti gli anni, quest’anno mi è arrivato del vino normale che ho assaggiato ed è molto buono ma non come lo spumante e, poi con che devo brindare a Capodanno?”. Io: “No, Presidente, sono io l’artefice delle malefatte,. Sicuramente si tratta di un errore”. Presidnete:”O saccio, c’era pure un biglietto di auguri che non era per me. E…allora come brindo alla fine anno?”. Io: “Presidente, provvedo immediatamente a correggere l’errore porgendole le mie scuse. Vuole Parlare con il Presidente Piccoli ora?” Presidente: “No, volevo parlare con te. Auguri e statte bene Tusa”.
Quì è finita la mia telefonata con il Presidente Leone. eravamo a dicembre ma io ero sudato come fosse Ferragosto.
Raccontai subito la cosa al Presidente Piccoli scusandomi con lui per la brutta figura che gli avevo fatto fare. Mi tranquillizzò dicendomi che sapeva tutto ed era stato lui a dire al presidente di chiamare me.
giustus