PAPA FRANCESCO: LA DOLCEZZA E’ LA SUA FORZA

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Papa Francesco con la sua figura estremamente paterna, molto comunicativa, la gente avverte la vicinanza e il suo calore, e risponde ai suoi gesti coinvolgenti, non deve far pensare a nessuno che questi siano desti di debolezza. Questo suo modo di esprimere e predicare l’amore, fa parte della sua persona e del suo percorso di fede, ogni Papa ha il suo carattere.

Certo, è’ finito un mondo, nella Chiesa e per i cattolici, soprattutto italiani, ne sta iniziando un altro. Appresa questa consapevolezza, qualche riflessione è d’obbligo.

Dopo il gesto di rottura come la rinuncia di Papa Benedetto, un nuovo Papa che intervenisse con decisione nel governo della Chiesa era nelle aspettative di tutti e Papa Francesco almeno dal primo impatto sembra non voglia tradirle.

Molto attese, dicevamo, le sue iniziative sul governo della Chiesa: è stato proprio Papa Ratzinger a motivare la sua rinuncia con il fatto che gli mancavano le forze per affrontare tutte le esigenze dei tempi nuovi. Tutti, quel drammatico 11 febbraio, abbiamo ripensato alle tante difficoltà dei suoi otto anni di pontificato, difficoltà fra le quali il furto delle sue carte è stata solo l’ultima, la più amara e la più eclatante, ma francamente di problemi dovuti anche ad una inadeguatezza di suoi collaboratori ne abbiamo visti fin troppi. Basterebbe scorrere l’indice del libro “Attacco a Ratzinger”, scritto da Tornielli e Rodari– due vaticanisti equilibrati, documentati e sicuramente non ostili a Papa Benedetto e alla Chiesa – scritto nell’agosto 2010, un libro basato su fatti noti a tutti: dalle dimissioni dell’arcivescovo di Varsavia Wieglus alla revoca della scomunica ai lefevriani mentre veniva diffusa un’intervista negazionista di uno di loro, e via dicendo. Attacchi al Papa da nemici della Chiesa, certo, ma facilitati e a volte proprio causati dall’interno, da clamorose gaffes e incredibili inadeguatezze di chi invece avrebbe dovuto vigilare sul Papa e proteggerlo.

Insomma: giusto o sbagliato che sia – veramente in questo caso sarà la storia a giudicare – prima del Conclave il dito era puntato contro la Curia romana, e la riforma del governo della Chiesa era indicata fra le priorità del nuovo Papa. In questo senso il primo atto significativo di governo di Papa Francesco è stata la recentissima nomina del “gruppo” di otto cardinali, i Saggi della Chiesa, provenienti da tutti i continenti, per consigliarlo nel governo della Chiesa, e studiare un progetto concreto di revisione delle norme esistenti, piuttosto, un sano criterio di comunione: il Papa vuole sburocratizzare e depotenziare la segreteria di Stato – al centro delle polemiche del pontificato di Papa Benedetto, che le aveva delegato molto – e ripristinare un contatto più stretto con il popolo cristiano di tutto il mondo, mediante alcuni suoi pastori, scelti da lui.

La prima conseguenza, adesso, è evidente: fine della centralità della chiesa europea, e soprattutto italiana. Fra i cardinali c’è solo un italiano, il Card. Bertello, che rappresenta la curia, e un altro europeo, il tedesco Card. Marx. Durante il pontificato di Giovanni Paolo II la centralità italiana era sottolineata con forza, nel panorama della cattolicità mondiale, e lo stesso Papa era attentissimo alle vicende interne italiane. Lo spiega bene in un editoriale il Card. Camillo Ruini, un grandissimo protagonista della vita italiana, quando ricorda la particolare attenzione che Giovanni Paolo II aveva per il nostro paese, attenzione culminata nel discorso al convegno di Loreto del 1985, e particolarmente evidente nella lettera ai vescovi italiani il 6 gennaio 1994, mentre il nostro paese attraversava una crisi che ricorda molto quella che stiamo attraversando adesso.

In quella lettera bellissima e accorata Papa Wojtyla scriveva “Sono convinto che l’Italia come nazione ha moltissimo da offrire a tutta l’Europa. Le tendenze che oggi mirano a indebolire l’Italia sono negative per l’Europa stessa e nascono sullo sfondo della negazione del cristianesimo. […] All’Italia, in conformità alla sua storia, è affidato in modo speciale il compito di difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo”. Riferendosi poi alle iniziative giudiziarie di Mani Pulite, il Papa non negò certo le colpe, ma specificò: “Un bilancio onesto e veritiero degli anni dal dopoguerra a oggi non può dimenticare, però, tutto ciò che i cattolici, insieme ad altre forze democratiche, hanno fatto per il bene dell’Italia” E ancora: “È ovvio che una società ben ordinata non può mettere le decisioni sulla sua sorte futura nelle mani della sola autorità giudiziaria. Il potere legislativo e quello esecutivo, infatti, hanno le proprie specifiche competenze e responsabilità” e infine diceva di essere convinto “che la Chiesa in Italia possa fare molto di più di quanto si ritiene. Essa è una grande forza sociale che unisce gli abitanti dell’Italia, dal Nord al Sud. Una forza che ha superato la prova della storia”.

Sicuramente la consapevolezza del ruolo della Chiesa italiana per la cristianità è maturata nel tempo, per Giovanni Paolo II, che non era italiano ma comunque era europeo, e non veniva “dalla fine del mondo” come Papa Francesco, che del nostro paese conosce ben poco, e che è vissuto sempre in un altro continente, con una storia totalmente diversa dalla nostra, e con condizioni sociali, culturali, ed economiche lontanissime dalle nostre. Ci vorrà tempo perché il nuovo corso di Papa Francesco prenda una forma compiuta, e vedremo quel che succederà: una gestione più “in comunione”, come quella indicata dal “gruppo” degli otto cardinali, non contrasta certamente con la consapevolezza del presidio che l’Italia è per la cattolicità tutta.

Intanto questa consapevolezza deve essere la nostra, una responsabilità per tutti noi. L’eccezionalità italiana – che non è un merito, ma una condizione storica – va compresa e custodita, senza tentennamenti.

 

 

 

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